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14 novembre Day of action – Giornata internazionale contro i centri di detenzione per immigrati e il “Pacchetto Sicurezza”

Un’Europa di muri e di gabbie. Muri per fermare profughi e migranti,
gabbie per rinchiuderli. L’ultimo anno è stato terribile. Alle
frontiere d’Europa si combatte ogni giorno. E, ogni giorno, qualcuno
muore. Nelle intercapedini dei Tir, nelle gallerie ferroviarie e nei
mari, dove le onde sono più pietose di militari e trafficanti
d’uomini.Il meccanismo è semplice e atroce. In ultima analisi lo stesso
dei nazisti. La selezione avviene nei paesi d’origine: solo i
più giovani, i più forti, quelli in grado di attraversare
il deserto, lavorare come bestie per pagare il viaggio, reggere la
traversata, arrivano. Poi ci penserà il mercato a scegliere
quelli più flessibili, utili, obbedienti, adattabili. In Italia
chi non ha un contratto di lavoro non ha il diritto a risiedere
legalmente nel nostro paese. Il lavoro che "rende liberi" ricatta la
vita dei lavoratori immigrati, obbligandoli a chinare la testa. Chi ha
le "carte" teme di perderle, chi non le ha rischia ogni giorno
l’esplosione. Così cantieri, fabbriche, campi, case si sono
riempiti di gente di ogni dove che lavora come in Europa non si
lavorava più: sono i braccianti schiavi, gli operai senza
tutele, i badanti senza orario… E per quelli che non possono o non
vogliono stare alle regole, o, semplicemente "sono di troppo" ecco la
galera amministrativa e poi la deportazione. Un meccanismo ben oliato,
che si regge e alimenta con le continue campagne xenofobe, che
attraversano ogni angolo d’Europa. Leggi razziste sono state emanate
dai paesi ricchi per fermare, imbrigliare, tenere sotto ricatto i
poveri in fuga dalla miseria, dalla fame, dalle persecuzioni, dalle
guerre. L’Italia, confine sud della fortezza europea, è ormai da
lunghi anni in prima fila. Il cammino di chi non ha speranza non
può essere arrestato.






I governi lo sanno bene ma preferiscono parlare di "emergenza". La
logica dell’"emergenza" è quella che ha motivato gli interventi
armati in Somalia, Kosovo, Iraq, Afganistan. L’"emergenza" giustifica
tutto: le bombe sui civili e la tortura, l’occupazione militare e la
legge marziale. Gli ambiti di legittimità si spostano ogni
giorno di più in barba agli stessi accordi internazionali. Con
il "pacchetto sicurezza", approvato dal parlamento italiano il 2 luglio
di quest’anno, è stato fatto un altro passo verso un diritto
diseguale, in cui non conta quello che fai, ma quello che sei. È
il presupposto di ogni legge razzista. È il presupposto di ogni
stato di polizia. Nel mirino i migranti, i poveri, i senza casa e
chiunque si opponga all’ingiustizia e alla




discriminazione.






Militari per le strade, retate sugli autobus, controlli asfissianti e
brutali fanno parte della nostra vita quotidiana. Sono diventati
terribilmente "normali". La normalità del male. Gli autobus
galere messi in campo a Milano per il controllo degli immigrati sono
durati poco. Forse erano troppo anche per stomaci forti. Il Comune
meneghino ha tuttavia voluto sottolineare che "con sommo dispiacere
siamo costretti a farne a meno"… ma ci riproveranno.







La nuova legge ha prolungato a sei mesi la detenzione amministrativa nei CIE – Centri di Identificazione ed Espulsione.







I Centri per i "senza carte" sono l’emblema tragico di una
società spezzata, dove lo scontro sociale ha ceduto il posto
alla guerra tra poveri. La storia dei Centri, in Italia come nel resto
d’Europa, è la storia di uomini e donne che hanno negli occhi il
deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza
fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. La vita, la voglia
di libertà, la resistenza e la lotta di migliaia di uomini e
donne sono passate da queste galere per poveri.







Negli ultimi mesi nei CIE di tutt’Italia la protesta è dilagata.
L’estensione a sei mesi del periodo di trattenimento nei Centri ha
fatto da detonatore. Dai primi di agosto il ritmo è stato
pressoché quotidiano.







Settimana dopo settimana rivolte, incendi, tentativi di fuga, scioperi
della fame, gente che si fa tagli profondi a braccia e gambe,
suppellettili e materassi distrutti. Poi, puntuale, la repressione:
pestaggi, arresti, sputi, insulti. Quelli che con più forza
hanno lottato per la propria dignità e libertà sono
finiti sotto processo o hanno guadagnato un’espulsione rapida. Dai
centri in tante notti si levano urla. Urla di rabbia e di dolore. Urla
nel silenzio. I media tacciono o mentono. È tempo di rompere il
silenzio.







Debole, debole, il lessico della solidarietà e della lotta
comincia a tracciare, sui muri e nelle coscienze, un solco lieve, ma
visibile. Gli antirazzisti stanno intessendo reti solidali, per
amplificare la voce di chi è messo a tacere, per sostenere le
lotte. Per distruggere muri e gabbie. Muri che rinchiudono uomini e
donne venuti da noi per cercare un’opportunità di vita. Viviamo
tempi grami, tempi feroci e folli, tempi di guerra. La guerra contro i
poveri e gli immigrati, la guerra contro chiunque si opponga alla
barbarie. Piovono pietre e nessuno può stare al riparo in attesa
di tempi migliori: mettersi in mezzo è un’ urgenza ineludibile.
Se non ora, quando? Se non io, chi per me?







Il 14 novembre ci sarà un Day of action contro i centri di
detenzione per immigrati. La giornata è stata promossa dall’IFA
– l’ Internazionale di Federazioni Anarchiche.







Facciamo appello perché quel giorno – in ogni città – si
svolgano iniziative contro i CIE e il pacchetto sicurezza.










Federazione Anarchica Italiana – Commissione Antirazzista FAI – antiracism@libero.it


 

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