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Appello contro la guerra

vignetta%201Contro le guerre imperialiste delle grandi e delle piccole potenze!

Per il sostegno e l’estensione della rivoluzione nella Royava!

Contro il militarismo, l’industria delle armi e le fabbriche di morte!

Per il disarmo, la smilitarizzazione e la riconversione generalizzata!

[…] la necessità di distruggere l’influenza d’ogni dispotismo in Europa, mediante l’applicazione del diritto d’ogni popolo, grande o piccolo, debole o potente, civile o non civile, di disporre di se stesso e di organizzare spontaneamente, dal basso in alto, attraverso la via di una completa libertà, al di fuori d’ogni influenza e d’ogni pretesa politica o diplomatica, indipendentemente da ogni forma di stato, imposta dall’alto in basso, da un’autorità qualunque, sia collettiva, sia individuale, sia indigena, sia straniera, e non accettando per basi e per leggi che i principi della democrazia socialista, della giustizia e solidarietà internazionali.

Michail Bakunin

Venti di guerra soffiano sempre più potenti: dalla Siria a varie zone dell’Africa, dall’Ucraina allo Yemen. E’ un vento che è generato dai conflitti latenti e dalla concorrenza che i vari Stati si fanno per aumentare la loro influenza e per soddisfare la propria voglia di espansione e di controllo.

Esemplare quanto sta succedendo tra Siria ed Iraq, ove si evidenzia sempre più la funzione del sedicente ‘Stato islamico’, che viene utilizzato da tutte le parti in gioco per evidenti fini egemonici.

Dopo avere preso vita a seguito della sciagurata impresa bellica della coalizione contro Saddam come forma di sopravvivenza politica sia dei fondamentalisti che dei seguaci del dittatore, lo ‘Stato Islamico’ ha individuato nel conflitto civile siriano la possibilità di una sua crescita fino a formalizzarsi come potere territoriale delle popolazioni sunnite nell’area, aiutato in questo dai convergenti interessi di USA, Turchia, Israele, Arabia Saudita e Qatar nella lotta contro la dittatura degli Assad e contro l’asse sciita Siria-Iran-Iraq. Ma l’appetito della cricca dirigente dello ‘Stato Islamico’ è andata ben oltre gli obiettivi che alcuni dei suoi sponsor avevano posto, volendo ricomporre e porsi alla testa del movimento fondamentalista di matrice islamica, attualmente frammentato tra sigle e formazioni di varia natura ed impostazione. Amplificando il proprio messaggio tra tutte le popolazioni musulmane lo ‘Stato Islamico’ vuole mettere in discussione assetti e gerarchie consolidate, e vuole guadagnare alla propria causa anche la gioventù musulmana – e non solo – che vive nei paesi cosiddetti occidentali per farne teste di ponte della propria ideologia.

La reazione non è tardata a farsi sentire, ma la risposta non è stata unitaria.

L’affacciarsi sulla scena dell’Iran, dopo l’accordo sul nucleare, preoccupa fortemente gli sceicchi che dominano l’Arabia Saudita tanto da spingerli a massacrare, nel silenzio assordante dei governi occidentali, i ribelli sciiti che nello Yemen mettono in discussione il governo, e a continuare a foraggiare di denaro e di armi i sunniti dello ‘Stato Islamico’. Stesso ragionamento si può fare per la Turchia che traffica con il petrolio estratto nei territori controllati dallo ‘Stato Islamico’ e che facilita i suoi rifornimenti. Obiettivo turco se da una parte è quello di contrastare la crescente influenza degli sciiti iraniani nell’area, dall’altra vuole soprattutto impedire che le varie comunità curde si saldino fino a dare vita ad una entità territoriale autonoma, sulla scia di quanto è avvenuto nel Kurdistan iracheno. L’aver concesso una base ai cacciabombardieri USA e l’invio di truppe a Mosul, in Iraq, confermano che, pur di bloccare i curdi, la Turchia è disposta a muoversi contro lo ‘Stato Islamico’ pur di grande malavoglia.

Gli USA, dal canto loro, stanno raccogliendo i frutti di una politica fatta di sostegno al ‘male minore’ per sconfiggere il ‘male maggiore’. Come in Afganistan, in Iraq ed ora in Siria, i burattini si sono rivoltati contro il burattinaio, che si trova a fare i conti con la propria opinione pubblica colpita dall’efferatezza dei tagliatori di teste e che mobilita i propri aerei come contentino per rifarsi un’immagine spendibile nelle prossime elezioni presidenziali. Ma nonostante tutto gli USA non mollano il colpo: se non possono controllare tutta l’area per loro è importante che nessuno diventi così potente da controllarla.

L’Unione Europea dimostra tutta la sua inconsistenza politica: la diversità di interessi tra Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia è tale da non consentire politiche comuni al di là di banali dichiarazioni di prammatica. Sulla doverosa accoglienza dei profughi non si è trovato uno straccio di accordo, sul blocco delle forniture di armi lo stesso (e Renzi lo ha dimostrato prontamente andando a stringere le mani ai boia di Riad). La Francia ha inviato i suoi aerei in Siria a bombardare i territori controllati dallo ‘Stato Islamico’ dopo il massacro di Parigi, a mo’ di vendetta, come se altri massacri potessero lavare il sangue versato…d’altronde le elezioni erano alle porte e Hollande doveva buttare sul tavolo un pugno di cadaveri per contenere la dimensione della sconfitta.

Dal canto suo la Russia ha rotto gli indugi ed è intervenuta pesantemente nella guerra civile siriana schierandosi dalla parte del suo alleato storico, la famiglia degli Assad, per mantenersi le basi sul Mediterraneo e per contrastare l’espansione della NATO ad oriente, addirittura arrivando a minacciare l’uso dell’arma nucleare (E’ di questi giorni la richiesta di adesione alla NATO del Montenegro). In tal modo la Russia entra in rotta di collisione con la Turchia impegnata da tempo nell’allargamento della sua influenza grazie alla presenza di popolazioni turcomanne nell’area. I bombardamenti russi sulle milizie filoturche che in Siria si oppongono al regime sono uno dei motivi dell’abbattimento dello jet di Mosca, con la scusa dello sconfinamento, anche se non sarebbe banale pensare che tale sconfinamento sia stato progettato a tavolino per mettere a nudo le ambiguità del governo di Ankara.

La Siria, in buona sostanza, è il terreno dove si combattono tante guerre, dove si misurano le capacità egemoniche delle varie potenze.

Ma chi combatte lo ‘Stato Islamico’, la sua ideologia totalitaria, l’applicazione inumana della sua legge che deriva da una lettura ancestrale dei testi sacri dell’Islam, non sono gli Stati.

Sono le popolazioni che subiscono sulla loro pelle gli effetti dello statalismo, del nazionalismo, del confessionalismo religioso, del colonialismo e che si ribellano per difendere la propria dignità e per affermare la propria autonomia.

A causa della propria condizione storica le popolazioni curde che vivono tra Turchia, Siria, Iraq e Iran, si trovano oggi a misurarsi con le politiche opportunistiche dei ‘loro’ Stati e a combattere in prima fila la violenza fascio islamista dello ‘Stato Islamico’. Se le truppe regolari dei ‘peshmerga’ iracheni, equipaggiate ed addestrate da militari della NATO – la Folgore in primis – combattono l’esercito dello ‘Stato Islamico’ per garantire l’esistenza della propria autonomia, conquistata in seguito al disfacimento dell’entità nazionale irachena e per allargare il proprio territorio, nel Kurdistan siriano – Rojava – i curdi, insieme ad arabi, yazidi ed altre popolazioni locali hanno dato vita ad un processo autonomo di autogoverno basato sul confederalismo e sul riconoscimento delle differenze di cultura e di genere, e sul rispetto dell’ambiente.

E’ evidente che tale processo, per i suoi contenuti progressivamente egualitari e sostanzialmente lontani da modelli statalisti classici, rappresenta per l’area una novità assoluta ed una proposta in grado di superare i conflitti interetnici ed interreligiosi, nel superamento dei confini statali. E’ altrettanto evidente che gli Stati dell’area, ma anche gli Stati ‘occidentali’ e la Russia vedono come il fumo negli occhi questo processo e lo combattono in vario modo, ora palese, ora occulto, soprattutto ora che tale proposta, sostenuta dal protagonismo del Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), viene recepita nei territori curdi della Turchia, e mette in discussione l’egemonia e l’autoritarismo di Barzani nel Kurdistan iracheno.

Questo spiega la dura repressione operata dal governo di Erdogan contro i territori turchi prevalentemente abitati dai curdi, gli omicidi mirati, l’uso degli aerei e dell’artiglieria, il coprifuoco imposto, le migliaia di arresti, le centinaia tra morti e feriti.

I venti di guerra non soffiano solo in queste zone.

Nel vecchio continente si coglie l’occasione delle minacce dello ‘Stato Islamico’, di alcuni attentati e di azioni armate indiscriminate sul suolo europeo, per militarizzare i territori, limitare ulteriormente la libertà di manifestare, conferire maggiore potere alle forze armate e di polizia, ai servizi segreti, incrementando le spese militari a scapito dei servizi sociali. Il massacro dei giovani parigini diventa l’alibi per incrementare il massacro sociale dei lavoratori e delle fasce più deboli della popolazione.

Non si ferma la guerra in corso se non si rompe con la logica di potenza insita in ogni Stato, con il nazionalismo che alimenta gerarchie etniche e culturali, con il militarismo e l’industria di morte.

Bisogna incrementare l’azione di contrasto e di opposizione alle politiche di guerra, con lo sviluppo di un movimento contro la guerra che non si faccia arruolare da alcun contendente in armi ma che, nel contempo sostenga il processo rivoluzionario nella Rojava, individuato come unica possibilità possibile per un’uscita dal tempo della morte.

Con questo intendimento facciamo appello a tutti e a tutte, individui ed entità collettive, per discutere e confrontarsi su questi contenuti ed iniziare a costruire percorsi comuni e unitari che ci vedano protagonisti incisivi nelle prossime fasi.

                                                                                                                                                                Federazione Anarchica Milanese-F.A.I.

Posted in Antimilitarismo, Comunicati.