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Dall’autorganizzazione delle lotte dei lavoratori all’autogestione della società

Il nostro obiettivo, lo confessiamo, è quello dell’uscita da una società che, malgrado i dettami costituzionali vanto dei “democratici”, si basa sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo…e che sfruttamento! Stiamo attraversando una fase storica in cui la coscienza di classe da parte dei lavoratori, per dirla con un eufemismo, è alquanto offuscata, ma nello stesso tempo anche il sistema capitalistico è sempre più fuori controllo. La società dei padroni, che siamo costretti a subire, attraversata da una forte crisi, reagisce aumentando l’aggressività nei confronti degli sfruttati, scaricandone interamente il peso.  Ne fa fede quello che sta facendo la Fiat rappresentata da Marchionne, con il pieno sostegno del governo, con l’obiettivo di stravolgere ogni regola e spazzar via gli ultimi diritti sopravvissuti, con l’utilizzo di leggi, accordi e svuotamento delle ultime salvaguardie contrattuali. Si utilizza anche la rottura sindacale, tra Cisl e Uil da una parte e Cgil dall’altra, per abbassare ancora di più il livello di resistenza, non paghi di tutto ciò che i sindacati confederali hanno loro concesso. Ma occorre rendersi conto che l’attuale sistema di sfruttamento, pur nella sua arroganza, vive una fase di debolezza e i lavoratori si devono rendere conto che hanno da perdere solo le loro catene. Ci sono tutte le condizioni per risalire la china e guardare oltre. Ma l’uscita dalla società/mercato non può essere un fatto casuale, senza la ripresa di una coscienza di classe, cioè la coscienza dello sfruttamento da parte dei padroni e dello Stato. Occorre tracciare un percorso che ci faccia fare importanti passi avanti guardando dietro di noi, riprendendo quegli obiettivi che hanno fatto grandi le lotte di emancipazione. Operare quella ricomposizione di classe che padroni e Stato hanno operato per annientare, distruggendo tutte le difese proprie dell’organizzazione dei lavoratori.

GLI OBIETTIVI DA PERSEGUIRE NELL’IMMEDIATO

*Il salario: hanno sempre sostenuto padroni, politici e sindacati, particolarmente nell’ultimo periodo, che si fa offesa alle regole dell’economia di mercato chiedere un salario adeguato al costo della vita; si strangola l’economia che, per farla prosperare, occorrono salari ridotti. Infatti, guardate come siamo ridotti! I salari dei lavoratori italiani sono tra i più bassi d’Europa, grazie agli accordi sul costo del lavoro (nel ’93) e della loro applicazione, abusando del controllo sindacale (Cgil, Cisl, Uil) tutt’ora presente in questo paese. Questa logica ha fatto in modo che padroni e l’alta finanza incassassero grandi profitti. Non basta. E’ stato concertato dalle parti in gioco che i pochi aumenti salariali fossero il più possibile vincolati alla produttività. Una ‘gabbola’ che dà potere contrattuale ai sindacati confederali, inventando formule improponibili e incontrollabili con l’obbiettivo di dare l’illusione all’asino che tira la “carretta” di raggiungere la carota che si sposta progressivamente in avanti, soprattutto ha la funzione di rompere la solidarietà tra i lavoratori. La richiesta salariale deve essere adeguata al costo della vita, egualitaria come la società che vogliamo costruire, assolutamente sganciata da ogni perverso meccanismo di produttività.

*Abolizione della precarietà: un altro obiettivo di primaria importanza è quello di debellare la malattia che attanaglia l’attuale società: la precarizzazione del lavoro. Vantata come modernità chiamandola flessibilità, si fonda principalmente sul ricatto più sfacciato nei confronti dei lavoratori, ponendoli nelle mani dei padroni senza più nessuna difesa, rompe la solidarietà, scardina ogni forma di organizzazione e possibilità di resistenza. Contratti a termine, agenzie interinali, contratti a progetto, sono alcuni dei contratti atipici che la legislazione consente grazie agli interventi sia dei governi di centro-sinistra che di centro-destra, grazie al supporto del sindacalismo confederale e autonomo. Adesso la critica contro la precarietà del lavoro è generale, ma nessuno la vuole eliminare: va spazzata via con convinzione e con forza.

*Eliminare l’intermediazione: occorre far saltare tutte le intermediazioni di mano d’opera, che sono il moderno caporalato, presente a Milano come nei campi del sud, con il ricorso spesso al lavoro nero. Ma la forma più sottile e legale di caporalato è quella degli appalti, dove settori importanti delle gestioni aziendali vengono dati in appalti, sub-appalti. La gestione di tali servizi prevedono gare d’appalto periodiche, ogni volta vinte a ribasso facendo pagare ai lavoratori la differenza. Spesso in tale gestione si fa il ricorso alle cosiddette cooperative che praticano rapporti di lavoro, peggiori di quelli dei padroni ufficiali, che rasentano lo schiavismo. Nel campo della logistica (centri di distribuzione della merce) viene spesso utilizzata mano d’opera di immigrati, supersfruttati per le loro stesse condizioni di ricatto per il permesso di soggiorno legato al lavoro. Vengono pagati pochissimo, frodati degli straordinari imposti, senza rispetto dei contratti, costretti a condizioni di lavoro bestiali e turni massacranti, con il beneplacito dei sindacati confederali. E se osano ribellarsi scioperando sono a rischio di licenziamento. Com’è accaduto ai 15 lavoratori immigrati della cooperativa Papavero, di cui abbiamo dato notizia su questo giornale. L’obbiettivo deve essere quello della assunzione diretta nell’azienda committente.

*La riduzione dell’orario di lavoro: di fronte ad un progressivo sviluppo tecnologico sempre più avanzato e sofisticato è necessario uscire dalla sudditanza che mette la produttività al primo posto. E’ scandaloso accettare che le nuove tecnologie servano solo ad aumentare il profitto dei ricchi e l’impoverimento dei lavoratori (disoccupazione e bassi salari). E’ assurdo che in molti settori e aziende una parte dei lavoratori sono sottoposti a carichi di lavori pesanti e a orari di straordinari straboccanti e nello stesso tempo un’altra parte di lavoratori della stessa azienda vengono licenziati o relegati all’assistenza pubblica della cassa integrazione. E’ tempo di prendere coscienza che lo sviluppo tecnologico è opera dei lavoratori e i vantaggi che ne derivano devono andare distribuiti, nel caso specifico con la riduzione dell’orario di lavoro. Se non vogliamo rassegnarsi allassistenzialismo e allespulsione dai luoghi di lavoro la via maestra è la rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro nell’ipotesi di “lavorare meno, lavorare tutti”.

*Contro le privatizzazioni: è sotto gli occhi di tutti i disastri che la logica di privatizzare in generale provoca. Diventa addirittura assurda quando viene applicata ai settori di utilità e necessità primarie della collettività quali luce, gas, gestione dei rifiuti urbani ed ora addirittura l’acqua. Ci viene di chiedere a quando la privatizzazione dell’aria? La giustificazione addotta che le privatizzazioni fanno abbassare i prezzi e le tariffe è completamente falsa: la logica del profitto produce l’effetto opposto, come si riscontra nella pratica. Privatizzare significa arretrare dalle nostre conquiste, opporsi è indispensabile.

VERSO IL SUPERAMENTO DEL SISTEMA

Lavori socialmente utili

Una attenzione particolare va riservata nei confronti dei settori pubblici e di utilità sociale (sanità, trasporti, scuola, servizi sociali vari). L’idea dominante delle istituzioni (partiti, sindacati) è che i lavoratori in tali settori si debbano sacrificare per l’utenza pubblica. E’ nostra convinzione, invece, che debbano essere le risorse dei padroni e dello Stato ad essere sacrificate per l’interesse comune. E l’orientamento delle mobilitazioni dei lavoratori dipendenti autorganizzati deve far pesare questo orientamento. La falsa contrapposizione tra interessi di lavoratori e dell’utenza deve essere rovesciata dalle forme di lotta e rispettivi obiettivi che debbano trovare la convergenza d’interessi comuni (nella qualità dei servizi, riduzione dei tempi di attesa, gratuità dei servizi stessi) avvalendosi della solidarietà della collettività.

Verso l’autogestione

Sono di aiuto e di riferimento, nel traghettamento verso una libera società senza mercato, tutte quelle iniziative e tentativi di sperimentare forme di autogestione oggi, relativamente parlando essendo tutt’ora in una società di mercato, in cui vengono svolte pratiche di autogestione nel campo del tempo libero, dell’attività culturale, delle produzioni biologiche e delle distribuzioni delle merci alternative (vedi gruppi di acquisto) che prefigurano aspetti di una società in divenire e, soprattutto, si pongano nella prospettiva dell’interesse collettivo e sociale, anziché di quello privato.

Espulsioni delle produzione nocive

Ci sono delle attività aziendali nella società attuale che, sotto la spinta delle speculazioni e del profitto, finalizzate a produzione o metodi di produzione che arrecano gravi danni all’uomo e all’ambiente. Sono organizzazioni del lavoro inconciliabili con il concetto di autogestione, sia oggi che nel futuro. Queste “produzioni” devono essere espulse dal consesso sociale il più presto possibile, come parte fondamentale del processo di liberazione. E’ fondamentale che si crei una coscienza critica sociale che coinvolga lavoratori delle stesse attività e soprattutto gran parte della comunità. Lotte profonde nel tessuto sociale possono essere d’orientamento fondamentale per il prevalere di produzioni socialmente utili a discapito delle produzioni di morte o nocive che debbono espulse dal sistema attuale.

MEZZI E FINI

Pratica dell’autorganizzazione

La pratica dell’autorganizzazione da parte dei lavoratori è la base in cui si misurare la maturità emancipativa, indipendenza, negazione di rapporti gerarchici, antagonismo, tutti elementi indispensabili per sviluppare le capacità autogestionarie. Più l’autorganizzazione cresce più si sviluppa il conflitto sociale. La lotta della Innse è stata percepita dal movimento come un’importante indicazione. La pratica di autogestione della produzione per alcuni mesi (pur all’interno di un sistema di mercato) utilizzata come forma di lotta, come altre volte è avvenuto nella storia del movimento operaio, è anche l’indicazione di una prospettiva di autogestione nella società futura. Dopo la violenta interruzione di questa esperienza da parte delle istituzioni, quegli operai hanno presidiato le macchine, respingendo con la solidarietà del movimento tutti gli attacchi della polizia, fino alla conclusione della loro lotta.

Oltre le regole imposte

Un altro aspetto importante da valutare sono, appunto, le forme di lotta. E’ estremamente riduttivo pensare che certe forme di spettacolarità, utili in certe circostanze, possano avere la meglio di fronte alle massicce forze che il padronato, il sistema con le sue manipolazioni, riesce a mettere in campo. E’ praticamente impossibile avere la meglio con le regole sempre più restrittive che vengono utilizzate. E’ come lottare contro un gigante avendo mani e piedi legati. Occorre che queste regole imposte, ogni qual volta si presenta l’occasione, siano superate a vantaggio di una maggior efficacia della lotta stessa. Lo sciopero degli autoferrotranvieri di qualche anno fa, quando esasperati sono usciti dal rispetto delle regole per poter vincere, è un riferimento importante che non a caso ha trovato la solidarietà della popolazione nel suo insieme.

Riappropriarsi delle ricchezze

Spesso accade, sempre più nella crisi attuale, che siano chiusi luoghi di lavoro, in tutto o in parte, per fallimenti, per speculazioni sul terreno, per delocalizzazioni e il più delle volte i lavoratori, sottomessi ad una strategia sindacale fatta di cedimenti, hanno difficoltà a dare risposte adeguate. Occorre che i lavoratori si emancipino dalla sottomissione allo sfruttamento, aprendo le menti all’idea della riappropriazione delle ricchezze, da essi stessi prodotte, come mezzo e come fine delle loro lotte; soprattutto come risposta alle negazioni dei diritti e al fallimento del loro sistema.

E.M.

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