Pomigliano: uno, due, tre, Flop !
E dire che ce l’avevano messa tutta, ma proprio tutta, Marchionne, Confindustria, Governo, Opposizione, Cisl-Uil-Fismic-Ugl più CGIL e tutta la vastissima accozzaglia di “suggeritori” più o meno prezzolati e/o interessati che, per giorni, avevano gareggiato nell’intento di far comprendere ai lavoratori dello Stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco i vantaggi derivanti dal rilancio dello stabilimento con l’Operazione Panda della Fiat.
Sui Media nazionali, editorialisti di fama avevano espresso il loro parere positivo sull’accordo, motivandolo con il teorema dei vasi comunicanti creato dalla Globalizzazione, teorema che consente al capitale di investire liberamente dove più gli aggrada sulla base di criteri di puro utile, meglio se in Paesi dove il costo del lavoro è rasoterra e dove i diritti dei lavoratori sono un optional. In sostanza, un disinteressato consiglio ai lavoratori di Pomigliano a fare i conti con la concorrenza dei colleghi di paesi lontani e, quindi, nel loro stesso interesse e per il bene del Paese tutto, a curvare ancora una volta ed ancor di più la schiena.
In analogia poi con l’operazione portata a termine nei confronti dei lavoratori della Pubblica Amministrazione, ecco che sulla stampa erano apparsi articoli che, rispolverando vecchi stereotipi, descrivevano i lavoratori di Pomigliano come meridionali assenteisti, fancazzisti, consumatori di stupefacenti all’interno dei reparti ecc.
Infine, all’interno dello stabilimento era iniziata la manovra di convincimento diretto da parte dei capi reparto che si rivolgevano agli operai a tu per tu, minacciando nemmeno troppo velatamente oppure prospettando improbabili vantaggi per chi avesse votato per il Sì al referendum del 22 Giugno.
Per finire, a conclusione della campagna, il 18 Giugno aveva avuto luogo una grandiosa manifestazione a favore del Sì, alla quale, secondo i primi lanci di agenzia avevano partecipato ben 5.000 persone, scese poi a un migliaio scarso (familiari compresi) secondo le stime della Questura. Insomma un flop non certo bene augurale.
E un flop è stato il referendum.
Ecco infatti il risultato di questi frenetici maneggi:
Operai:
4231 aventi diritto
4151 voti validi
2494 sì (60%)
1657 no (39,9%)
23 bianche
57 nulle
Impiegati:
413 aventi diritto
410 voti validi
394 sì
16 no
1 bianca
2 nulle
Ma ben prima che lo spoglio delle schede fosse completato, e mentre tutta la schiera dei “pro Sì” trepidamente leggeva i primi dati dello scrutinio, già il ministro Sacconi in fregola referendaria annunciava esultante una schiacciante vittoria esclamando “… da oggi il Paese si rivela ancora più moderno”. Salvo poi doversi ricredere, una volta avvisato che quei dati si riferivano al solo comparto Quadri e impiegati.
Un vecchio proverbio dice saggiamente “non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso” ma evidentemente di questo detto non sono a conoscenza né Sacconi né Bonanni né Angeletti. La Grande Vittoria pronosticata come certa e immancabile si è invece rivelata una pia illusione ed il risultato del referendum si è abbattuto funestamente proprio sulle sigle sindacali che ne erano state le promotrici, Cisl e Uil in testa.
Perchè dalle loro fila è scaturito quel fatidico 19,9 % che è andato proditoriamente ad ingrossare le fila del No, unendosi al 20% di iscritti Fiom e Slai Cobas contrari all’accordo, facendo in tal modo fallire il plebiscito tanto auspicato e strombazzato dal Governo e dalla Fiat. Il risultato referendario mostra infatti chiaramente che, mentre tra gli impiegati ha ovviamente trionfato il Sì, tra gli operai invece, ovvero tra coloro che in prima persona dovranno sperimentare sulla loro pelle la cura Marchionne, il timore reale di andare incontro ad un bagno di sangue ma soprattutto la rabbia per il feroce ricatto della Fiat hanno prevalso sulla paura di perdere il posto di lavoro ed hanno portato il No ad un inaspettato 39,9 %.
E sono state proprio le prime reazioni a caldo del ministro e della coppia Bonanni-Angeletti, la principale sponda a supporto della Fiat, a rivelare di quale dimensione sia stato il loro abbaglio circa una facile vittoria dei Sì e quale improvviso sconcerto li abbia colti dopo avere letto i numeri definitivi scaturiti dallo spoglio delle schede:
Sacconi: «Non voglio nemmeno ipotizzare che Fiat cambi idea … Ora che l’accordo con il referendum è stato inequivocabilmente approvato, io penso che sia una logica conseguenza l’investimento»
Bonanni: «Niente scherzi. Il sì ha vinto e quindi non ci sono scuse, subito investimenti … Chiediamo alla Fiat di procedere perché ha potuto contare su un vasto piedistallo su cui poter costruire prospettive»
Angeletti: «Credo che l’opzione per la Fiat sia esattamente una, quella di confermare la validità dell’accordo e quindi l’investimento da realizzarsi nei prossimi mesi per trasferire la Panda a Pomigliano» e poi «se in Italia si dovesse sostenere la tesi che le cose si possono fare soltanto se c’è l’unanimità, allora non si farebbe nulla»
Di ben altro tono il commento gelido della Fiat :«L’azienda apprezza il comportamento delle Organizzazioni Sindacali e dei lavoratori che hanno compreso e condiviso l’impegno e il significato dell’iniziativa di Fiat Group Automobiles per dare prospettive allo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano. La Fiat ha preso atto della impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano. L’azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell’accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri».
Parole che mostrano come anche nella Casa Torinese il mancato raggiungimento dell’En Plein’ nell’esito referendario non sia stato accolto con salti di gioia. Ciò nonostante, è del tutto evidente che la Fiat non fosse impreparata anche ad una simile spiacevole eventualità ed è per questo che il comunicato manda un avviso chiarissimo.
Da una parte si lancia un messaggio di chiara sfida alla Fiom, unica organizzazione rimasta a fare diga contro la manovra congiunta che mira a destrutturare definitivamente il sistema dei diritti nel mondo del lavoro, mentre dall’altra si rinnova a Governo e sindacati “amici” l’invito a partecipare su nuove basi, tutti insieme appassionatamente, all’operazione Pomigliano, e non solo.
Certo che la situazione ora è tutt’altro che facile grazie a quello spostamento di voti, quel 19,9% che nessuno aveva preventivato e che ora sembra un macigno sulla via di Pomigliano. E’ svanita nel nulla l’ipotesi di una marcia trionfale con a capo la Fiat seguita dal Governo e dagli sherpa Cisl+ Uil che, nelle intenzioni di Marchionne avrebbe velocemente travolto ogni resistenza da parte della Fiom spazzandola via dal suo cammino.
Ora la strada è in salita perché un chiaro segnale di opposizione da parte operaia è stato dato e non è detto che non si accendano ulteriori focolai di rivolta.
L’attacco a Pomigliano non è infatti passato del tutto supinamente sulla testa di una classe operaia da tempo costretta sulla difensiva e stremata da migliaia di giornate di Cassa integrazione. In sostegno ai colleghi campani, proprio dall’interno del Gruppo sono stati proclamati scioperi molto partecipati a Mirafiori ed alla Piaggio di Pontedera nella giornata del 21 e nella mattinata del 22 giugno.
D’altra parte, essendosi la Fiat impegnata in prima persona mettendoci la faccia del suo principale esponente, anche se un pensierino in questo senso è stato fatto, difficilmente potrebbe ora decidere di sganciarsi unilateralmente mollando la patata bollente di Pomigliano in mano al Governo e, oltretutto, lasciando in braghe di tela il duo Bonanni-Angeletti, ovvero chi l’aveva appoggiata oltre ogni credibile limite.
La Fiat oggi si dibatte in un bell’impiccio. Si trova a dover gestire un risultato che non le consente di procedere a briglia sciolta come avrebbe voluto, ma che però, assegnandole comunque la vittoria, non le consente di ritirarsi dalla tenzone senza perdere la faccia.
Dal giorno del referendum ad oggi, a parte alcune marginali precisazioni, la Fiat ha osservato il silenzio stampa e si pensa che Marchionne stia approfittando di questi giorni per mettere a punto la prossima mossa in preparazione di quella che potrebbe essere un’occasione per tornare in argomento, ovvero l’assemblea degli industriali torinesi, che si terrà lunedì 28 Giugno alla presenza della Presidente Marcegaglia.
Ed in quella occasione potrebbe spuntare dalla manica di Marchionne una carta speciale, il cosiddetto Piano C, ovvero la nascita di una New Company che, licenziati tutti gli attuali dipendenti, riassorbirebbe solo quelli che, accettando i termini imposti dalla Fiat, si dimostrino disposti al “sacrificio”. Nei confronti invece di chi si è opposto porterebbe ad un repulisti che ricorda sinistramente le epurazioni alla Fiat negli anni ’50, lasciando fuori dai cancelli i lavoratori legati allo Slai Cobas ed alla Fiom.
Ma, c’é sempre un ma: il piano C è stato lo spauracchio agitato in concomitanza con il Referendum e, a quanto pare, non ha funzionato come si sperava. Inoltre chi garantisce a Marchionne che quel dannato 19,9% non finisca per aumentare col passare dei giorni? Si sa che la paura fa 90, ma anche che la rabbia e la disperazione possono dare coraggio a chi non ne ha.
Occorre però prendere in considerazione anche un altro aspetto della vicenda. Quello legato alla guerra totale e senza quartiere che, con un accanimento viscerale tipico di tanti ex socialisti passati alla Destra, il ministro Sacconi sta da sempre portando avanti nei confronti della odiatissima Cgil, in un tempo ormai lontano sua sigla sindacale di riferimento.
Perché potrebbe essere proprio questa lotta all’ultimo sangue a rendere impraticabile una possibile ulteriore strategia alternativa per uscire dall’impasse, ovvero la cooptazione della Cgil nell’accordo. Previo smussamento degli aspetti più beceri e indecenti del testo avanzato dalla Fiat, un ingresso a pieno titolo della Cgil nella compagine che appoggia la Fiat consentirebbe di mettere all’angolo la riottosa Fiom, rendendo un favore non solo ad Epifani, già dichiaratosi in linea di massima favorevole all’operazione Panda, ma anche alla futura segretaria Camusso, la quale vedrebbe così regolati alcuni conti interni all’organizzazione già prima del suo insediamento.
Un bel ginepraio, non c’è che dire. E ci si sono ficcati da soli per la solita smania di strafare.
E’ dunque troppo presto per capire quale sarà l’esito finale di questa vicenda. Sicuramente però, nonostante l’entusiastico appoggio fornito dal Governo e dalle sigle sindacali già ricordate, appare oggi in difficoltà l’intento della Fiat di forzare la mano per costruire a Pomigliano l’avamposto di una sorta di territorio franco nel Meridione, all’interno del quale introdurre una forma modernizzata delle antiche gabbie salariali.
Un facsimile delle Zone Economiche Speciali cinesi, dove il Governo potrebbe attirare investimenti anche dall’estero grazie al basso del costo del lavoro, alla imposizione di una disciplina ferrea ed alla introduzione di sistemi di razionalizzazione dell’ambiente di lavoro quali l’Ergo-Uas ed il W.C.M. (World Class Manufacturing) che – guarda caso – verranno introdotti ora anche a Pomigliano dopo essere stati sperimentati a Mirafiori.
L’ambiente ideale dove, secondo la Fiat, la produzione potrebbe agevolmente raggiungere le 280 mila auto all’anno con una sola linea, ovvero un’auto al minuto, purché ovviamente tutto fili senza il minimo intoppo con una regolarità al millesimo di secondo.
Chiaramente senza scioperi, assenteismo, con pause di riposo ridotte al minimo, straordinario obbligatorio …
Resta l’incognita di quel 19,9% di troppo a turbare i sonni di Marchionne, e non solo i suoi.