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Manovre greche: Il capitalismo tra autocure e palliativi

«Il debito salirà al 140% del Pil e poi nel 2014 comincerà a scendere. Il Pil greco nel 2010 si contrarrà del 4%»
Le parole di George Papaconstantinou, ministro delle finanze greco, non sorprendono i giornalisti presenti alla conferenza stampa per la presentazione del piano di austerità voluto da Fmi e paesi europei. E non meravigliano gli addetti ai lavori della finanza mondiale, che questi conti, probabilmente, se li sono già fatti.

Gli unici a essere seriamente preoccupati sono i cittadini greci. Ma, nelle grandi manovre del capitalismo per salvare se stesso, i cittadini greci contano poco. O meglio: nulla!  Salari pubblici che caleranno del 20%, una maggior “flessibilità” per i privati con la riduzione dell’indennità di licenziamento e una maggior libertà nei licenziamenti; le pensioni ritoccate al ribasso, l’IVA che aumenta del 2% e le imposte sui carburanti del 10% con un conseguente aumento dei prezzi sono alcuni dei punti della manovra “antifallimento” greca per ottenere un prestito di 110 miliardi di euro (80 dalla comunità europea e 30 dal Fmi) che verrà erogato in tre anni da Fmi e paesi dell’area euro.

Un futuro cupo per i cittadini di questo paese, banco di prova del “modello di salvataggio” delle economie forti europee.Inutile dire che il fallimento della Grecia avrebbe avuto forti ripercussioni finanziarie nei paesi della zona euro e che questo andava evitato assolutamente. Senza parlare, poi, della contagiosità della “malattia greca”.Spagna, Portogallo, Irlanda e la stessa Italia, che tanto si vuol far apparire retta nella gestione dei conti pubblici, sono paesi che sopravvivono quotidianamente di mezzucci per non crollare nello stesso baratro della Grecia.

Il fallimento della Grecia si sarebbe portato dietro tutto questo in un effetto domino che avrebbe coinvolto anche le economie leader di questa strana Europa.Le ipocrite parole del ministro degli esteri francese, Bernard Kouchner, che definisce “un dovere morale europeo” il prestito concesso, non nascondono l’enorme interesse che alcuni paesi europei, Francia e Germania tra i primi, hanno nel contenere questa crisi.Il coinvolgimento dei due paesi europei nella vicenda greca va aldilà del semplice interesse monetario.

Pur non avendo il peggior debito pubblico europeo (l’Italia, per esempio, è messa peggio con il suo 115% contro il 113% della Grecia), il problema del governo ellenico è che in questo momento è insolvente. Cioè: non può pagare i suoi debiti.L’insolvenza greca coinvolge banche e assicurazioni francesi e tedesche che sono esposte per 78 miliardi di euro con il governo ellenico

A questo punto, alla “superpotenza” Europa si presenta un duplice problema: uno, bloccare la debacle greca per impedire il crollo della moneta unica, peraltro già ipotizzato da alcuni analisti di Wall Street che hanno marchiato la crisi greca come la fine dell’epoca euro, e l’eventuale, quanto probabile, effetto domino che avrebbe sulle altre economie deboli; due, salvare le proprie banche e le proprie assicurazioni.Considerando poi che, per finanziare il proprio deficit del 2010, alla Grecia basterebbero 25 miliardi di euro e che il Fmi ne ha messi sul tavolo 30, gli 80 miliardi scuciti dalla comunità europea appaiono sempre più funzionali al salvataggio degli istituti finanziari.

E chi pagherà tutto questo? La ricetta è semplice: il popolo greco. E non solo. Anche gli altri cittadini europei dovranno fare la loro parte. Gli 80 miliardi della comunità europea che servono per pagare le banche francesi e tedesche, verranno prelevati dalle tasche dei cittadini, direttamente o indirettamente.La loro parte i greci la stanno facendo: sono scesi in piazza, hanno protestato e continueranno a opporsi a questa ennesima angheria che il capitalismo, nel folle e disperato tentativo di salvarsi, ha imposto al popolo greco.

Ora tocca a noi fare la nostra parte. I 5,5 miliardi che l’Italia mette a disposizione degli istituti finanziari europei, andranno a incidere su quel “welfare” sempre più disastrato e vilipeso da una politica volgare e spudoratamente arroccata nella difesa degli interessi della classe capitalista.Come noi, anche gli altri paesi europei. Opporsi a questo sistema di sfruttamento è un dovere sociale.

Ma non basta quello.Da giorni, in relazione alla crisi greca, si sente parlare di exit-strategy, si sciorinano numeri e percentuali, si disegnano scenari, ma mai si mette in discussione il sistema nella sua totalità.Le crisi che si sono succedute negli ultimi anni hanno mostrato quanto il sistema economico e finanziario attuale, basato sul profitto e sullo sfruttamento, sia oramai arrivato al capolinea.E questo lo sanno bene. Lo sanno talmente bene che stanno cercando di accaparrarsi le ultime risorse disponibili cercando di concentrarne il più possibile nelle mani di pochi, costringendo i molti in nuove forme di schiavitù e dipendenza. Come il modello greco oggi.

Ma l’unico modello valido come via d’uscita può prevedere solo un radicale cambiamento del sistema economico dei paesi, passando dal sistema capitalistico di sfruttamento a uno basato sull’autogestione e la partecipazione comunitaria. L’unica strada percorribile può ammettere solo l’opposizione allo strapotere del capitale e, contemporaneamente, la proposizione e la pratica di nuove forme economiche mutualistiche svincolate dal capitale, ma in funzione esclusiva delle necessità umane. Questo è l’impegno che ci deve contraddistinguere.

Posted in da Umanità Nova.