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ValSusa, arrivano le trivelle, la resistenza continua

Tav Torino Lyon: arrivano le trivelle

La resistenza continua

Sabato 9 gennaio, Susa.
Sembra che questa volta arrivino davvero. Dopo mesi di finte, proroghe e giochi di ruolo, i sondaggi preliminari alla progettazione della Torino Lione sono ai blocchi di partenza. Alcune centinaia di persone, sotto gli occhi di digos e polizia che controllano da lontano, piazzano una baracchetta di lamiera all’interno dell’autoporto di Susa, dove è previsto uno dei 91 sondaggi decisi dall’Osservatorio sul Tav. È nato il presidio permanente di Susa.

Si fa a turno, giorno e notte, il termometro sotto zero davanti ai fuochi dei bidoni, a presidiare il territorio.
Il presidio viene dedicato alla memoria di Raoul Maiero e Alessio Meyer, due No Tav di recente scomparsi.

Martedì 12 gennaio, Susa.
Gli osservatori No Tav segnalano continui movimenti di truppe tra Torino e Susa, dove, come nel 2005, l’hotel Napoleon segna il tutto esaurito. Gli uomini in blu dormono al caldo.
Circa trecento persone aspettano l’arrivo della trivella. Ma l’attesa questa volta è vana. La polizia non attacca il presidio ma si limita ad annunciare denunce per occupazione. Il presidente dell’Osservatorio, Mario Virano, fa spallucce e dichiara che non farà la guerra per un solo sondaggio. Il presidio viene mantenuto e diventa punto di riferimento per le iniziative in Valle.

Il giorno successivo, i vari organi di informazione si lasciano andare allo sfottò più volgare, paragonando il presidio di Susa alla fortezza, dove il tenente Drogo attende inutilmente l’arrivo dei nemici.

Martedì 12 / venerdì 15 gennaio, Collegno.
Con enorme dispiego di uomini e mezzi vengono piazzate due trivelle all’interno dell’autoporto di Orbassano, un altro paio nell’area della discarica di Basse di Stura e una alla stazione di Collegno. La notizia arriva al presidio di Susa. Parte un appello a recarsi alla stazione di Collegno. Alcuni No Tav, convinti della necessità di moltiplicare ed estendere le iniziative di resistenza sul territorio, si mettono subito in moto. Nonostante le centinaia di poliziotti e carabinieri il numero di manifestanti cresce nel corso della giornata: davanti alla stazione arriva un gazebo, un paio di bidoni, le prime cataste di legna. Alle 17,30 un’assemblea decide la nascita del primo presidio permanente nell’area metropolitana di Torino.

Per quattro giorni e tre notti alla stazione di Collegno si sono dati il cambio: i torinesi di No Tav Autogestione, dell’Osservatorio Ecologico, del Comitato di corso Marche, oltre al Comitato di Pianezza, ai ragazzi di antitav action di Collegno, gli studenti del Politecnico, di Agraria, e delle superiori di Torino.
Gli operai della RCT del gruppo Trevi hanno lavorato circondati da carabinieri, poliziotti e finanzieri in tenuta antisommossa a loro volta assediati da un numero crescente di manifestanti.
I media hanno gridato vittoria (cinque a uno) ma in valle come a Torino è stato dimostrato che le uniche ragioni dei si tav sono quelle della forza e, con la forza bruta, la militarizzazione di intere città e paesi, l’imposizione con blindati e manganelli, non faranno molta strada.
Se per fare un buchetto devono impiegare 1000 uomini in armi gli servirà l’esercito per impiantare i primi cantieri.
In quattro giorni, intorno ai fuochi del presidio sono passate centinaia di persone: No Tav di Val Susa e val Sangone oltre a tanti cittadini di Collegno. Molti hanno portato qualcosa da mangiare o legna da ardere, segno di una solidarietà cresciuta giorno dopo giorno. Per quattro giorni, mentre la trivella sondava un terreno già più volte sondato, l’informazione è stata costante, con volantinaggi in piazze, mercati e scuole.
Ogni sera il cibo condiviso e le discussioni in lunghe assemblee e in piccoli gruppi sono state un’esperienza di socialità e di autogestione preziosa per un movimento che cresce nella lotta e nella resistenza.
In almeno un’occasione i rubinetti dell’acqua per la trivella sono diventati no tav e si sono chiusi rallentando i lavori.

Giovedì 14 la polizia ha bloccato un tentativo di incatenarsi alla trivella.
I lavori a Collegno dovevano durare due settimane ma – con turni di 16 ore al giorno – nella tarda mattinata di venerdì 15 avevano già finito. Sapevano sin troppo bene che nel fine settimana il presidio sarebbe cresciuto e la trivella poteva essere bloccata.
Nell’andarsene i poliziotti non mancano di minacciare e poi spintonare i No Tav assiepatisi all’ingresso per intralciare il passo alla trivella.
Smontato il presidio ormai inutile e ripulita con cura l’area si è svolta un’assemblea al vicino Mezcal Squat.

Sabato 16 gennaio, Torino.
Corteo No Tav da piazza Massaua per le strade di un quartiere densamente popolato destinato ad essere sventrato dai lavori Tav. Hanno sfilato in circa 2000, un numero importante di questi tempi all’ombra della Mole. Peccato che la volontà di opposizione al Tav per molti non si traduca in un impegno più forte contro sondaggi e trivelle.
L’eurodeputato Gianni Vattimo, approdato all’IDV dopo innumeri cambi di casacca, e di recente improvvisato nuovo fiancheggiatore dei No Tav, è stato contestato da Tobia Imperato, autore del libro sulla vicenda di Sole e Baleno “Le scarpe dei suicidi”, che, memore degli sprezzanti giudizi espressi dal filosofo del pensiero molle sui due compagni morti in carcere, gli ha detto la sua. I post autonomi dell’Aska si sono schierati a fianco dell’eurodeputato contro il “provocatore”. L’eurodeputato, con gran raffinatezza, dopo una sequela di “vaffan” ha urlato al microfono ed alla cittadinanza “andate a piangere sulle tombe dei vostri morti!”. Pare che poi, pentito, abbia chiesto scusa.
Quelli dell’(ex)presidio no tav di Collegno hanno sfilato con il loro striscione. Alla fine del corteo – in una riunione straordinaria – è stato redatto un comunicato in risposta alla Fillea Cgil e al suo segretario regionale, Gianni Pibiri, che avevano accusato, in uno comunicato stampa, il presidio di Collegno di aver attaccato con lanci di bottiglie i lavoratori della ferrovia. Quelli come Pibiri, noto supporter della lobby tav sin dal 2005, calunniano i no tav ma non vedono le palesi irregolarità del cantiere della stazione.

Sabato 16 gennaio. Bruzolo.
Il presidio No Tav, piazzato lungo la statale sin dalla primavera del 2005, va a fuoco. L’incendio è doloso. Il rapido intervento dei pompieri limita i danni che sono comunque ingenti. In serata un’assemblea straordinaria propone una fiaccolata a Bruzolo per la sera successiva.

Domenica 17 gennaio, tra Rivoli e Villarbasse.
Un’assemblea di 200 persone inaugura il nuovo presidio No Tav, piazzato nei terreni di un vivaista, che lo ha concesso per impedire ogni sondaggio.

Domenica 17 gennaio, presidio Maiero/Meyer di Susa.
Un’assemblea molto partecipata decide una manifestazione a Susa, probabilmente per sabato 23 gennaio. Il giorno dopo Chiamparino ha promosso una kermesse si tav al Lingotto.

Domenica 17 gennaio, Bruzolo.
Oltre cinquemila persone partecipano alla fiaccolata No Tav, indetta dopo l’attentato al presidio.

Lunedì 18 gennaio, S. Antonino di Susa.
Nel paese di cui è sindaco Antonio Ferrentino, ieri a capo dei sindaci ribelli, oggi tra i tre che, in bassa valle, partecipa all’Osservatorio per definire i nuovi tracciati, si è aperto un presidio No Tav. Il presidio è alla stazione, dove è previsto uno dei sondaggi.
Sin qui la cronaca. Per una valutazione del contesto sarebbe necessario molto più spazio, ci limitiamo pertanto ad un paio di battute, rimandando al prossimo numero un pezzo di approfondimento.
Non c’è dubbio che i sostenitori del tav abbiano imparato la lezione del 2005 e, per il momento, abbiano deciso di non usare la forza, affinando le strategie comunicative.
I tasti cruciali su cui pigiano i si tav sono due. Il primo è quello della residualità del movimento, ormai lontano dai numeri di quattro anni fa, il secondo è nella moltiplicazione dei punti di attacco. 91 sondaggi in luoghi spesso inaccessibili, ma quasi sempre di proprietà pubblica o delle ferrovie, sono difficili da contrastare, consentendo a Virano e alla sua gang di gridare vittoria per qualche trivella imboscata nella discarica di Torino. L’unica che hanno piazzato vicino all’abitato, quella di Collegno, hanno dovuto farla lavorare in fretta per evitare che venisse bloccata.
Se le strategie dei Si Tav si sono affinate, occorre che i No Tav sappiano a loro volta saper ri-mettere in campo, oltre alle molte energie che ci sono, anche una buona capacità di diversificare e moltiplicare le iniziative.
Non sarà facile ma è necessario.
Sappiamo che, oggi come nel 2005, un popolo che resiste, passo dopo passo, vince.
Sarà dura ma possiamo farcela.

 

 

Blocchi di strade e treni, presidi, un grande corteo

I ribelli del No Tav

Cominciamo dalla fine. Nella notte tra il 23 e il 24 gennaio un incendio devasta il presidio di Borgone, uno dei primi a nascere nella tarda primavera del 2005. È la risposta dei Si Tav alla settimana di lotta culminata con l’immenso corteo No Tav che nel pomeriggio aveva sfilato a Susa.
Una reazione scomposta, chiaro indice dell’affanno che attraversa il fronte bipartisan dei Si Tav. Affidano i lavori sporchi a chi li sa fare: compagni di merende di ogni buon affare, dove i soldi pubblici vanno a finanziare la lobby del cemento e del tondino, gente senza la puzza al naso, che ha sponsor al governo e all’opposizione e buoni amici dove conta. Poco importa che siano rispettabili imprenditori della truffa legalizzata o meno presentabili esponenti del sottobosco illegale che prolifera all’ombra di ogni appalto pubblico che si rispetti.
Ai si tav non basta la stampa amica, non bastano gli appoggi a destra e a sinistra, non bastano le dichiarazioni ridicole di Chiamparino e Matteoli, sindaco PD di Torino l’uno, ministro (post)fascista l’altro, che pretendono che i 40.000 che hanno sfilato a Susa per dire No al Tav siano solo una ridicola minoranza, adesso ricorrono anche agli attentati notturni pur di fiaccare la resistenza No Tav. Una resistenza che nell’ultima settimana che messo in seria difficoltà i sondaggi avviati il 12 gennaio e costantemente contrastati.
Ma facciamo un passo indietro.

Martedì 19 gennaio, Susa.
Nella notte, intorno alle 3, una lunga colonna di automezzi parte da Torino. Centinaia e centinaia di carabinieri, poliziotti e finanzieri accompagnano una trivella in Val Susa. Siamo nel piazzale della Sitaf, sull’autostrada Torino Bardonecchia, la A32. Qui, nella grigia palazzina che domina l’area, si dividono gli spazi gli uffici della società che gestisce l’autostrada e quelli della Polstrada. Un fortilizio inaccessibile.
Il tam tam degli sms parte subito. Molti raggiungono il presidio piazzato all’autoporto sin dalle prime ore dell’alba, altri arrivano dopo, altri ancora nel pomeriggio. La tensione è altissima, in alcuni prevale lo sconforto, perché le truppe sono riuscite a passare. Ma dura poco. Intorno alle 10 del mattino rombano i tamburi di guerra dei “galli” del presidio, che battono con rami e sassi il guardrail. È il frastuono infernale che annuncia la marcia dei NO Tav sull’autostrada, verso la zona dove è stata piazzata la trivella. Il traffico autostradale viene bloccato per oltre due ore.
Nel pomeriggio l’assemblea al presidio dura pochissimo. Le poche centinaia del mattino si sono più che triplicati. La partecipazione e vasta e calda: tutti si pronunciano per l’azione diretta. Parte un nuovo blocco dell’autostrada: si marcia sino alla trivella, sorvegliata da un imponente apparato di uomini in armi. La battitura è un fragore che fa salire la temperatura anche se siamo parecchio sotto zero.
Ancora una volta, per piazzare una trivella che sta su un camion di cinque metri sono arrivati di notte, accompagnati da un esercito, mentre i No Tav paralizzavano per ben due volte l’autostrada.
Buon per chi vuol far credere che la resistenza, all’ombra del Rocciamelone, si sia sopita.
Dopo due giorni e due buchi, la trivella se ne va. I lavori che dovevano durare settimane finiscono nel giro 48 ore. Siamo nella valle dei miracoli.

Martedì 19 gennaio, Torino.
I No Tav di Torino, alla notizia della trivella piazzata a Susa, sin dalla notte decidono un presidio davanti alla RAI, che nel suo telegiornale regionale, da sempre sponsorizza i si tav.
Un centinaio di persone rispondono all’appello e manifestano in strada. Gianfranco Bianco, giornalista noto per la sua sfacciata difesa degli interessi legati al Tav, è obbligato ad uscire scortato dalla polizia tra le grida “pagliaccio” e “sarà dura!”.
Un intraprendente No Tav riesce a issare al pennone della RAI una bandiera con il treno crociato.
In serata un gruppo di No Tav appende uno striscione davanti al cancello della CGIL in via Pedrotti. Sullo striscione è scritto “Pibiri calunniatore. Amico dei padroni. No tav No trivelle”.

Vi abbiamo già parlato di Gianni Pibiri. È il segretario della Fillea Cgil, il sindacato degli edili, da sempre schierato con i Si Tav. In un comunicato diffuso la settimana precedente aveva accusato i No Tav del presidio di Collegno di violenze contro gli operai. Menzogne che ribadisce, rincarando la dose, in un’intervista rilasciata a Massimo Numa e uscita sul quotidiano “La Stampa”. Pibiri definisce i No Tav “estremisti che hanno tutto questo tempo libero da dedicare ai presidi e alle violenze”, “figli di papà” che non si “devono guadagnare il pane”.
Il giorno successivo la Cgil esce con un comunicato di solidarietà a Pibiri, oggetto di “intimidazioni” da parte di “violenti”. A poco valgono le prese di distanza che della minoranza Cgil, che in assemblee e incontri ai presidi si limita a suggerire ai propri iscritti in valle di sostenerla al congresso. Nessuno di loro ha il coraggio di prendere carta e penna e schierarsi in modo inequivoco, segno della costante ambiguità di non pochi burocrati, che, quando non corrono rischi, si danno una patina di sinistra.

Mercoledì 20 gennaio, Condove/Chiusa S.Michele.
Arrivano di notte anche alla stazione di Condove. Il solito piccolo esercito a difesa della trivella della ditta Geomont di Bussoleno. Ma il comitato di accoglienza si forma subito. La stazione di Condove, che serve anche il comune di Chiusa, è tra la statale 25 e la statale 24.
La polizia blocca il collegamento tra le due statali, impedendo il passaggio. I No Tav si piazzano dai due lati circondando la polizia. Si formano due presidi. Giovani e anziani parlano, discutono, decidono insieme senza deleghe. Ancora una volta la Valsusa diventa un gigantesco laboratorio di partecipazione popolare, di assemblee in cui gli attivisti di sempre sono affiancati da gente comune che assapora il gusto della partecipazione, dell’azione diretta, del blocco, della barricata.

Nel primo mattino la polizia mena qualche colpo verso alcuni No Tav che cercano di andare a “prendere il treno”. Nella tarda mattinata i No Tav si danno appuntamento alla stazione di S. Antonino. Le bandiere allungate verso i binari convincono il TGV a fermarsi. Il sindaco di S. Antonino, l’ex No Tav Antonio Ferrentino, ha finalmente la stazione internazionale che sogna per il paese. Un sms lo avvisa subito dell’evento. Quelli del presidio permanente che si è formato lì sin dalla settimana precedente preparano un cartello azzurro con la scritta “Stazione internazionale ‘La Trippa’. Vota Antonio”. Appena il tempo di tagliare il nastro per l’inaugurazione e subito si riparte. Tutti di corsa sul regionale che è stato fatto passare davanti al TGV.

Il cavallo di Troia arriva alla stazione di Condove e i No Tav corrono verso la trivella. I carabinieri si affannano a chiudere il varco, vola qualche manganellata. Un anarchico di Collegno ne esce con braccio rotto.
Ma non è finita. In serata dal presidio parte un corteo che, passando per i viottoli, blocca la stazione, mentre barricate incendiate di tronchi chiudono la strada ai mezzi di polizia. Un’intera colonna è obbligata a fare dietrofront. Nella notte la trivella viene portata via. Ha battuto tutti i precedenti record: è durata meno di 18 ore.

Mercoledì 20 gennaio, Torino.
La sala di corso Ferrucci è strapiena per l’assemblea organizzata da No Tav Autogestione, Osservatorio Ecologico e (ex) presidio di Collegno. Si fa il punto della situazione e si discute lungamente della necessità di rendere più incisiva la resistenza anche a Torino e cintura, contrastando i sondaggi e facendo informazione.
Si decide inoltre di partecipare al corteo del sabato successivo con lo striscione “Torino e cintura: sarà dura. No Tav No Trivelle”.
Nella zona di via Eritrea, si organizza per il mercoledì successivo, un presidio informativo per la gente della zona, che sarebbe pesantemente investita dal treno degli affari.

Giovedì 21 gennaio, Torino.
L’ineffabile commissario straordinario per la Torino Lyon annuncia una tregua, ma mente. Arrivano sempre più presto. Intorno a mezzanotte e mezza, quando un gruppetto di No Tav giunge per dare un’occhiata alla zona, la trivella per il sondaggio 61, quella di via Fermi, è già piazzata. Un faro potentissimo illumina questa strada nell’estrema periferia torinese, a Basse di Stura, tra le fabbriche e il nulla dell’area limitrofa alla discarica. Polizia e carabinieri sorvegliano l’area. Nella via non c’è nessuno.
Il gruppetto di No Tav decide sui due piedi di tirare fuori le bandiere e improvvisare una protesta.

Gli uomini a difesa della trivella e degli interessi milionari che rappresenta vanno in fibrillazione: subito arrivano camionette su camionette, i carabinieri si schierano con il casco calato, i digos si moltiplicano. La scena è surreale. Fari e centinaia di uomini in armi circondano sei No Tav armati di bandiere. La neve che comincia a cadere da il tocco finale.
Il presidio si ingrossa un po’: nell’ora successiva si arriva ad una ventina di manifestanti.
Dopo due ore si tiene una breve assemblea e si decide di lasciare da soli i birilli che sorvegliano la trivella per il super treno.
Nella notte un’altra trivella compare in strada dell’aeroporto, in una zona degradata ed inaccessibile, il posto giusto per trivellare lontano dalle proteste.

Il giorno successivo, siamo a venerdì 22, si torna in forze in via Fermi, dando vita ad un presidio con fuochi, cibo, vino e la voglia di mettersi in mezzo. Alcuni camion diretti alla trivella devono deviare, stessa sorte tocca anche ad un grosso mezzo diretto ad un cava il cui autista esibiva, nel bianco del tricolore, il faccione di Mussolini.

Sabato 23 gennaio, Susa.
Il corteo è un serpente infinito. Ci sono i comitati, la gente comune, gli attivisti di sempre e i giovani che nel 2005 erano ancora bambini. Decine di migliaia. La questura dice ventimila, per noi il doppio. Una risposta anticipata al sindaco di Torino che, il giorno successivo, si troverà al Lingotto per l’incontro Si Tav da lui promosso con 800 persone, in gran parte politici, imprenditori, e sindacalisti come Gianni Pibiri (e già, proprio lui!).

Chiamparino voleva fare la marcia dei 40.000 ma ha fatto un buco nell’acqua. I 40.000 c’erano, ma a Susa. I No Tav che hanno bloccato i treni e le autostrade sono l’anima di un movimento vivo e deciso a resistere, che cresce anche all’area metropolitana di Torino. Ben visibili davanti allo striscione dei No Tav torinesi le bandiere rosse e nere dello spezzone anarchico.
Il giorno dopo “La Stampa” in un insospettabile impeto di sincerità scriverà a proposito della partecipazione di studenti dell’onda, autonomi e anarchici “che sono ben integrati nell’esperienza di democrazia partecipativa della Val Susa”, ben diversamente dai politici di PRC, Sinistra Critica, Verdi e IDV, venuti in valle “a caccia di consenso” ma, come dice un manifestante al termine del corteo in piazza del Sole, “non hanno capito che non li votiamo”. La gente ha imparato la lezione: li ha vista all’opera nel governo Prodi e sa che fanno un gioco sporco.

Domenica 24 gennaio, Borgone.
Di fronte alle macerie fumanti del presidio incendiato nella notte i No Tav non si perdono d’animo e cominciano subito a ricostruire. In serata a Borgone si mangia e si beve alla faccia di chi lavora di notte con la benzina, sperando inutilmente di fare paura.
Qui la gente è “bugianen”, non schioda ma si radica di più quando viene attaccata.

Domenica 24 gennaio, Torino.
Adesso arrivano anche la domenica, sperando che la stanchezza prevalga, che le energie siano tutte assorbite dall’attentato a Borgone. Ma gli va male. Di fronte alla trivella messa in strada antica di Grugliasco e a quella piazzata in corso Allamano si raduna un gruppetto di No Tav che lancia per il pomeriggio un nuovo presidio. Fuochi, cibo, volantini e striscioni segnalano che anche a Torino e cintura “Sarà dura”.
Maria Matteo

Posted in da Umanità Nova.