Il sanguinoso attacco militare israeliano condotto stamane, in acque internazionali, contro il convoglio navale di solidarietà con la popolazione di Gaza è l’ultimo, intollerabile, atto di prevaricazione e di violenza di un governo sempre più incapace di uscire dalle spirali della propria politica di sopraffazione colonialistica, segnata da un nazionalismo sempre più marcato e da un crescente integralismo.
Questa volta le vittime sono stati i solidali che , da tutte le parti del mondo, volevano portare aiuti e sostegno umanitario ad una popolazione stremata da un blocco, di terra e di mare, che non ha fatto che acuirne le sofferenze dopo la criminale aggressione dell’operazione ‘Piombo fuso’.
Tutti i giorni la politica del pugno di ferro si fa sentire contro gli oppositori della loro politica, nei territori, in Israele, contro chi si mobilita e lotta contro il Muro, contro la distruzione delle case palestinesi, contro gli espropri arbitrari dei terreni, contro le mille prevaricazioni quotidiane che rendono difficile la vita della popolazione araba di Israele e dei territori. Una politica che, evidentemente, non riesce a realizzare compiutamente i propri obiettivi se deve ricorrere ad un atto infame come quello del massacro degli attivisti umanitari per dare la cifra della propria determinazione.
Ma qual è il prezzo che le popolazioni dell’area mediorientale, compresa quella israeliana, saranno costrette a pagare per continuare a sopportare questa determinazione? Quale pazzia dovremo ancora registrare prima che si arrivi ad una sostanziale inversione di rotta che riporti la pace in quei territori martoriati? Se si arriva a considerare un’intollerabile provocazione l’invio di un convoglio umanitario, che risposta ci potrà essere contro le costruende centrali nucleari iraniane?
Venti di guerra riprendono a soffiare con forza in un mondo sempre più attraversato da integralismi religiosi, da nazionalismi beceri e da presunzioni civilizzatrici.
Gli anarchici, da sempre, rifiutano e disprezzano la guerra, fratricida e distruttrice, e contrappongono la rivoluzione sociale come strumento di liberazione dell’umanità; per questo hanno sempre deprecato le lotte fra i popoli ed indicato nella lotta contro le classi dominanti la via d’uscita alla crisi sociale. Ma non per questo sono insensibili alle conseguenze delle politiche colonialiste e nazionaliste e se disgraziatamente un conflitto avviene, come in terra palestinese, fra popolo e popolo, essi sostengono quel popolo che, in quel momento, difende la sua vita, la sua dignità, la sua indipendenza.
Da sempre gli Stati hanno diviso i popoli imponendo le frontiere. La creazione dello Stato d’Israele non solo non ha risolto le esigenze della popolazione ebraica residente, né di quella sfuggita ai campi di sterminio, ma ha creato in Palestina una fortezza militarista ed autistica, baluardo di interessi strategici degli imperialismi USA ed UE, ed ha sviluppato una contrapposizione permanente con la popolazione preesistente, imponendo una dominazione di tipo coloniale.
Così pure l’obiettivo della creazione di uno Stato palestinese se apparentemente sembra un passo in avanti nella liberazione di un popolo oppresso e sfruttato, in realtà è una nuova gabbia che rafforza i sentimenti nazionalisti facendo perdere la consapevolezza degli interessi di classe e dell’importanza della lotta sociale contro i dominatori e gli sfruttatori di ogni tipo e di ogni etnia. Tutte le lotte di liberazione nazionale l’hanno insegnato: non esiste liberazione economica e sociale del proletariato al di fuori dalla sua autorganizzazione in classe e la sua cristallizzazione nelle comunità nazionali interclassiste è la tomba di ogni progetto di un vero cambiamento sociale basato sull’eguaglianza e sulla libertà.
Il superamento dello stato di guerra che insanguina quella regione si potrà avere o con l’annichilimento e la distruzione di una delle due parti, soluzione prospettata dai grandi e piccoli imperialismi nella loro partita a scacchi per il dominio del mondo, o con la distruzione definitiva delle barriere artificiali, etniche, politiche e religiose, imposte ai popoli per la costruzione di una società più giusta ed umana.
L’esistenza di collettivi di palestinesi e di israeliani che si oppongono alle politiche governative, alla costruzione del Muro, che sostengono i disertori israeliani al servizio militare, che si mobilitano contro il militarismo, provano una volta di più che quello che può unire, con la solidarietà e la lotta, è più forte di quello che divide.
E non è allora un caso che i morti di oggi siano degli attivisti umanitari disarmati, espressione della società civile internazionale, individuati come le pericolose avanguardie di un processo di pace e di solidarietà che parte dal basso, in grado di erodere dalla base un potere sempre più anacronistico, violento, antiumano.
A loro tutto il nostro sostegno e la nostra solidarietà!
Commissione di Relazioni Internazionali della FAI