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Armi della critica e critica alle armi

Quando si sta portando una rivoluzione per la liberazione dell’umanità, bisogna avere rispetto della vita di ogni uomo e di ogni donna….Il terrorismo viola la libertà degli individui e perciò non può essere utilizzato per costruire una società anarchica”.

Michail Bakunin

L’immediata gestione mediatica del mostruoso attentato di Brindisi la dice lunga su quali sono le intenzioni dell’oligarchia al potere. Un atto vile, di terrorismo indiscriminato, contro delle giovani donne, antisociale e criminale, viene tranquillamente assimilato ad episodi di lotta armata, magari con origini greche, con contorno mafioso, con l’obiettivo palese della realizzazione dell’unità di tutti gli schieramenti in difesa dello Stato, un’unità che abbiamo visto all’opera negli anni della solidarietà nazionale, delle leggi speciali, dell’arretramento sociale e culturale del paese.

Ma segnali di questo ‘modus operandi’ l’avevamo già registrati nei giorni precedenti.

In un ufficio dell’Ansaldo Energia è apparsa una scritta, piccola piccola, dieci centimetri in tutto, a matita pare, con una minaccia di morte al presidente di Finmeccanica, Orsi. Accompagnata da una stella a cinque punte e la sigla B.R. Basta questo evidente sfogo di un impiegato incazzato contro i suoi capi, per alimentare la canea mediatica sul pericolo terrorista.

Se si andasse in qualsiasi cesso a rilevare scritte, per i pennivendoli ce ne sarebbe del materiale da campare per anni.

Vale lo stesso per il volantino fatto recapitare a ‘Calabria Ora’, una ridicola ed evidente falsificazione, probabilmente opera di un altrettanto incazzato contribuente nei confronti di Equitalia, ma utile per dare fiato alle trombe sul pericolo terrorista. E che dire del drappo rossonero appeso alla lapide che in piazza Fontana, a Milano, ricorda l’assassinio del compagno Pinelli: secondo l’intrepido giornalista, rappresenterebbe una sfida in quanto sarebbe stato applicato proprio nell’anniversario dell’omicidio del commissario Calabresi. A parte il fatto che una sfida del genere ci starebbe (e come!) dopo le manipolazioni del film di Giordana, è da rilevare che quel drappo fosse lì dal Primo maggio, messo da qualche compagno o compagna al termine della manifestazione.

C’è da star sicuri che ogni scritta, vecchia o nuova che sia, ogni sia pur piccola iniziativa anarchica, nei prossimi giorni godrà della massima attenzione mediatica: è chiaro che c’è chi vuole dimostrare l’esistenza di una forte minaccia anarchica, ovviamente violenta e terroristica, al bengodi che stiamo vivendo. E molti altri gli vanno a ruota. D’altronde gli anarchici sono avversari dichiarati dello Stato e lo Stato contraccambia, temendo la saldatura tra la proposta autogestionaria e l’antipoliticismo diffuso.

Nelle crisi sono sempre ricercati dei capri espiatori, su cui indirizzare l’attenzione della cosiddetta pubblica opinione. Come sono riusciti negli anni ’80 a svuotare di segno e di contenuto la ricchezza dei movimenti del decennio precedente, rovesciandogli addosso, a tutti ed indistintamente, la responsabilità del lottarmatismo, facendo di ogni erba un fascio, comminando carcere a pioggia, provocando divisioni e contrapposizioni, così oggi c’è chi intende rispolverare i vecchi arnesi della criminalizzazione preventiva.

D’altronde la situazione per ‘lor signori’ non è facile, devono far digerire misure sempre più indigeste e la paura di una ribellione sociale cresce in loro, anche più preoccupante perché si allarga in prospettiva a settori sociali tradizionalmente moderati (l’artigiano, il trasportatore, il piccolo imprenditore che prende il fucile, ecc.), aprendo un nuovo terreno di scontro – quello fiscale – che mai era stato appannaggio dei movimenti di contestazione radicale.

La voracità delle banche e delle oligarchie al potere non lascia grande spazio a politiche di crescita e la crisi dei derivati è lungi dall’essere risolta. La politica mascherata da tecnica amministrativa deve dar prova della sua capacità di governo, ricorrendo magari a soluzioni progressivamente autoritarie, come quelle che ci sta facendo digerire da tempo.

D’altronde se un autentico liberale come Piero Ostellino sul ‘Corriere della Sera’ si permette di bollare il governo Monti/Napolitano di ‘salazarismo’, richiamando alla memoria il regime tecnocrate e conservatore che dominò il Portogallo per 50 anni, cosa dovrebbero dire quanti verificano ogni giorno sulla loro pelle la riduzione degli spazi di espressione e di agibilità, di effettiva libertà di organizzazione e di azione, della stessa qualità della vita?

Ovviamente anche l’attentato al dirigente dell’Ansaldo Nucleare è stato colto al volo per rilanciare, dopo le varie informative dei servizi segreti sul pericolo ‘anarco-insurrezionalista’, l’incombenza della minaccia terroristica di matrice anarchica, collegandolo al malcontento sociale crescente, al movimento NoTav e a chi più ne ha più ne metta. Un’operazione ardita questa perché ci vorrebbe qualcosa di più sostanzioso per potere collegare il terrorismo all’insofferenza sociale e al diffuso sentimento anti partitico, depotenziandone così i possibili sbocchi conflittuali e criminalizzando preventivamente ogni capacità di risposta popolare. Se poi si vuol collegare direttamente la rivendicazione del ‘nucleo Olga’ ai movimenti sociali, basterebbe l’affermazione fatta dallo stesso ‘di non ricercare il consenso’ per troncare sul nascere la discussione.

Ma temo che questo non basti per smontare il tentativo di sviluppare nell’immaginario collettivo del paese una legittimizzazione di una politica oppressiva in nome della difesa dal terrorismo.

Se l’operazione in corso è questa, è evidente che bisogna aspettarsi di più e di peggio.

In una situazione dove l’aggressione al livello di vita della popolazione si sta intensificando, soprattutto nel settore del lavoro dipendente, del precariato, del piccolo artigianato e commercio, e dove si avrebbe bisogno di tutta la mobilitazione, di tutta l’intelligenza e della capacità collettiva per organizzare risposte incisive, promuovere lotte, sviluppare iniziative di solidarietà sociale, dare ossigeno alle forme autogestionarie di risposta concreta alla crisi, appare inevitabile doversi misurare con chi pensa che un gruppo, un’organizzazione, dura, combattente, clandestina, possa ottenere risultati efficaci, con chi pensa di avere la risposta in tasca. Come il gruppo che ha firmato l’attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare rivendicando la sua appartenenza alla federazione anarchica informale. Soprattutto se l’enfasi mediatica con il quale vengono riportate le ‘loro’ imprese è funzionale al coinvolgimento di tutto il movimento anarchico e dei movimenti d’opposizione in un processo di criminalizzazione generale, avente per perno la lotta al terrorismo.

A questo proposito la Federazione Anarchica Italiana ha da tempo denunciato con forza l’uso infame e strumentale del proprio acronimo (FAI) per propagandare le azioni e le prese di posizioni del cosiddetto ‘anarchismo informale’. Uso che non solo tende a confondere deliberatamente le acque, ma che è rivelatore di una pratica di tipo egemonico, autoritario, tendente a sovrapporsi all’esistente con l’appropriarsi – questo si molto formale – non solo di una sigla caratteristica di altri con un vissuto militante che dal 1945 ha caratterizzato la presenza dell’anarchismo in questo paese.

Una chiara impostazione autoritaria ed egemonica che si manifesta, tra l’altro, con la distribuzione a destra e a manca, di insulti e di giudizi, in merito a coraggio, paura, vigliaccheria, cinismo, ecc. ecc. così come si ricava dalla lettura della rivendicazione, a nome tra l’altro di un ‘neo-anarchismo’ che pretende il monopolio dell’idea erigendosi a giudice, prete e boia. Alla faccia di un anarchismo rinnovato!

Per quanto riguarda l’azione di Genova l’anarchismo organizzato nell’Internazionale di Federazioni Anarchiche ha dato da tempo una risposta all’avanguardismo armato, confutandone ragioni e metodi.

Se concordiamo con la definizione che i dizionari danno della parola violenza (“Coazione fisica o morale esercitata da un soggetto su di un altro così da indurlo a compiere atti che non avrebbe compiuto, Zingarelli) non possiamo che classificare la violenza all’interno degli strumenti dell’autoritarismo.

Ed è per questo che nessun anarchico ritiene possibile elevare a sistema la violenza o concepirla come la levatrice del processo rivoluzionario. Tutt’al più l’atto violento può essere inteso come una necessità di autodifesa per contrastare la violenza, grande e generalizzata, dello Stato e del sistema capitalistico. Per gli anarchici è evidente che l’atto violento in sé, in quanto atto autoritario, se eretto a sistema, rigenera lo Stato.

L’anarchismo si è sempre basato sulla consapevolezza nello scegliersi azioni ed obiettivi e sulla responsabilità personale nel perseguirle, per cui se rifiuta da un lato di sposare tesi violentiste, dall’altro rifugge da impostazioni piattamente non violente; piuttosto esso rimanda sempre alla coscienza degli individui e alla interpretazione del momento storico in cui essi vivono.

L’efficacia dell’azione diretta non viene espressa dal grado di violenza in essa contenuta, quanto piuttosto dalla capacità di indicare una strada praticabile da tutti, di costruire una forza collettiva in grado di ridurre la violenza al minimo livello possibile all’interno del processo di trasformazione rivoluzionaria. Ed in questa ricerca, il ‘piacere’ dell’arma rappresenta un ostacolo insormontabile. Con buona pace dei Nečaev di turno. Il fantasma del nihilista russo, disperato e spietato, non può ispirare l’anarchismo di oggi.

max

Posted in da Umanità Nova.