Che la storia della Fiat sia sempre stata strettamente intrecciata con la storia del nostro Paese è una verità indiscussa. Così come lo è il fatto che, in materia sindacale, le politiche portate avanti dalla Fiat all’interno dei propri stabilimenti ha negli anni, costantemente, determinato, a cascata, l’atteggiamento tenuto da tutto il mondo imprenditoriale italiano.
Non è forse un caso quindi che, proprio oggi, l’offensiva nei confronti della FIOM parta dalla Fiat di Marchionne, mostrando in tutta la sua chiarezza quale sia il disegno che mira a far compiere al mondo del lavoro italiano uno storico giro di boa, destinato senza dubbio alcuno a riportare le condizioni dei salariati indietro ai bei tempi dell’Ingegner Valletta e forse ancora più oltre.
Fino ad oggi infatti da parte del Governo e dei suoi fedelissimi supporters Sindacali, Cisl e Uil, era stata combattuta una guerra a bassa intensità contro tutta la Cgil. Una guerra a sfondo ideologico, fatta a volte di pure e semplici ripicche e di sgarbi di tipo squisitamente diplomatico, sostanzialmente incapace però di colpire a fondo e risolutivamente l’avversario.
E proprio perché il trio Sacconi-Bonanni-Angeletti si era dimostrato inaffidabile e assolutamente incapace di raggiungere l’obiettivo, subito dopo lo smacco subito a Pomigliano – dapprima in sordina ma poi in un crescendo scatenato – è invece partita un’offensiva in piena regola condotta dalla Fiat in prima persona. Offensiva rivolta, questa volta intelligentemente, non contro tutta la Cgil, bensì contro la sola Fiom, il bersaglio perfetto, il Sindacato che non collabora e che pertanto, secondo la vulgata Marchionnesca, è automaticamente da considerarsi “Non affidabile”. In realtà un simbolo della pervicacia con la quale alcuni settori operai non intendono ancora oggi, nel terzo millennio, sottostare ai voleri del Padronato senza reagire.
Beninteso, questa offensiva è iniziata – come a voler sondare la capacità di reazione dell’avversario – con alcuni “incidenti di frontiera” allo stabilimento Fiat Sata di Melfi che hanno portato al licenziamento di tre operai, due dei quali, guarda caso, delegati Fiom, ed il successivo irremovibile rifiuto di riammetterli al lavoro, pur in presenza di una sentenza del giudice in tal senso .
I tre licenziamenti sono stati utilizzati dalla Fiat per raggiungere obiettivi ben specifici:
– Propagandare l’illegalità e la protervia di certi esempi di lotta: il blocco di una linea di produzione deve considerarsi come fatto illegale e contro le buone regole del bon ton sindacale: «Non credo sia onesto usare il diritto di pochi per piegare il diritto di molti» ipse dixit.
– Gettare le basi per la diffusione del Marchionne-Pensiero: «Non siamo più negli Anni Sessanta. Non è possibile gettare le basi del domani continuando a pensare che ci sia una lotta tra ‘capitale’ e ‘lavoro’, tra ‘padroni’ e ‘operai’»
E l’occasione per portare a termine l’opera di diffusione del Verbo rappresentato simbolicamente dalla cosiddetta “Fabbrica Italia” non è certo mancata al Sergione nazionale.
Quale migliore occasione del Meeting di Comunione e Liberazione, dove l’affollato consesso degli osannanti integralisti cattolici gli ha riservato un’accoglienza trionfale: «Sergio, siamo tutti con te!», «Siamo pronti a rifare la marcia dei quarantamila!» dopo avere ascoltato la sua concione, «Rifiutare il cambiamento a priori significa rifiutare il futuro. Se non siamo disposti ad adeguarci al mondo che cambia, ci ritroveremo costretti a gestire solo i cocci del nostro passato»
Se Marchionne ha esposto il suo Credo tra i Ciellini a Rimini, è stato al Forum Ambrosetti di Cernobbio, nei primi giorni di Settembre, che ha potuto verificare appieno l’entusiastico appoggio alla sua Crociata da parte del mondo dell’imprenditoria e della finanza. In tale occasione, ad esempio, la Presidente della Confindustria, Marcegaglia, ha chiesto a gran voce un nuovo Patto sociale che preveda l’aumento della produttività e – dice lei – conseguentemente dei salari, che dovrebbero aumentare mediante la partecipazione dei lavoratori ai risultati aziendali (peccato che il suo Vice Bombassei abbia dichiarato subito dopo che gli industriali sono nettamente contrari alla cogestione e che gli strumenti quali i premi di produzione esistono e già da tempo vengono utilizzati).
Chi poi è andato al sodo della questione è stato il Direttore Generale della Confindustria Galli, che ha dichiarato: «Abbiamo ragionato con i sindacati e messo nero su bianco il protocollo sugli assetti contrattuali: c’è un concetto di partecipazione che consiste nel dare maggiore peso ai contratti aziendali, che prevedono che si possa fare più scambio fra maggiore produttività e maggiore retribuzione».
Come dire che, mentre Sergio prefigura – a parole – un luminoso mondo di amorevole collaborazione e di benessere PER TUTTI, gli italici industriali fanno capire che appoggiano in tutto e per tutto la sua filosofia, che anche a loro l’aumento della produttività sta bene, anzi benissimo; quanto poi ad una equa suddivisione dei pani e dei pesci, calma, prima dobbiamo verificare, esaminare, vedere, constatare, soppesare, aprire un tavolo, due tavoli, tre tavoli … Nulla di nuovo sotto il sole del Bel Paese, considerato che già i benefici per la classe operaia che erano stati promessi e strombazzati con l’accordo del 23/7/1993 si sono da lungo tempo rivelati semplice aria fritta.
Indimenticabile poi a Cernobbio l’apporto determinante del segretario della Cisl Bonanni, che ha scosso l’uditorio con una puntuale ed acuta osservazione: «I diritti dei lavoratori esistono se c’è una economia che sta in piedi, se ci sono le fabbriche, se ci sono i posti di lavoro. Senza i posti di lavoro, non ci sono i diritti», battendo così ogni record quanto a dichiarazioni Lapalissiane.
Ma una voce si era già tirata fuori dal coro. Qualcuno non si era dimostrato d’accordo con il Marchionne Pensiero. Ed era l’ex Super Manager Fiat Romiti, proprio lui, l’artefice della Marcia dei 40.000.
Sul Corriere del 28 agosto era infatti apparsa una intervista in cui costui non solo contestava il fondamento stesso della ideologia Marchionnesca, ovvero la perfetta unione tra capitale e lavoro causata dalla irreversibile scomparsa della Lotta di Classe, ma addirittura considerava utile e necessaria la presenza di interessi contrapposti all’interno dei luoghi di lavoro. Da qui il consiglio alla Fiat di usare una buona dose di moderazione e di ricercare un accordo senza attizzare a bella posta il fuoco perchè, alla lunga, dividere volutamente il fronte sindacale può rivelarsi un errore tattico madornale.
Ma tant’è. Oramai l’armata Fiat era in marcia e nulla avrebbe più potuto arrestarla. Raccolto il convinto consenso dei suoi pari, ecco che la seconda fase della manovra di accerchiamento contro la Fiom è quindi partita immediatamente; già il 7 settembre, infatti, la Federmeccanica ha clamorosamente disdetto l’accordo dei metalmeccanici firmato anche dalla Fiom nel gennaio 2008 e che scadrà definitivamente nel gennaio 2012.
A detta del suo Presidente Ceccardi, la disdetta è avvenuta “a fronte delle minacciate azioni giudiziarie della Fiom relative all’applicazione di tale accordo” ed è stata comunicata “in via meramente tecnica e cautelativa allo scopo di garantire la migliore tutela delle aziende”, mentre la Marcegaglia ha dichiarato candidamente: “Nessun ricatto Fiat, solo un’accelerazione. Il vero problema è la Fiom, contraria a ogni cambiamento che renda le aziende più competitive”.
Peccato che la disdetta in realtà fosse stata prevista e concordata tra Fiat e Viale dell’Astronomia già alla fine di Luglio, sotto la minaccia di Marchionne di portare il suo gruppo fuori dalla Federmeccanica, cosa che avrebbe messo in gravissime difficoltà la Confindustria.
Si tratta quindi di un altro obiettivo raggiunto nella strategia di Marchionne, a dimostrazione di come il Nostro oramai marci a passo di carica per la sua strada senza farsi intralciare il cammino da nessuno, che si tratti del Governo, della Marcegaglia o della Confindustria stessa, evidentemente considerati una accolita di incapaci, un ostacolo ai piani futuri della Fiat.
“Siamo dunque all’anno zero delle relazioni industriali italiane, ci stiamo lasciando dietro un altro pezzo di Novecento” (Corsera 7/9/10). Come era prevedibile, tutta la stampa si è velocemente adeguata e, allineata e coperta, ha sfornato una raffica di articoli di sperticato elogio nei confronti dell’audace e risolutivo operato di Marchionne e della Federmeccanica, prendendo per buone le patetiche dichiarazioni del suo Presidente e della Marcegaglia e tacendo invece sulla vera natura dell’accordo che aveva dato il via all’operazione.
Disdetto l’accordo del Gennaio 2008, si mira non solo a tagliare completamente fuori dalle trattative la Fiom (che non aveva firmato il successivo accordo dell’ottobre 2009), o quanto meno a spuntarle le unghie, ma soprattutto, a partire dal 1 gennaio 2012, si spalancano le porte a tutta la variegata sequela di deroghe graziosamente concesse nel 2009 dai sindacati amici, ovvero quellli “affidabili” (chissà poi perché Bonanni ha rifiutato la nomina a Ministro dello sviluppo economico?).
Guarda caso, esattamente quello che chiede Marchionne per far partire Fabbrica Italia nello stabilimento di Pomigliano, dove si potranno applicare le nuove deroghe al Contratto nazionale già rifiutate dal 40% dei partecipanti al Referendum dello scorso Giugno: la limitazione del diritto di sciopero, i 18 turni di lavoro, con meno pause e ritmi accelerati; le 80 ore di straordinario comandato aggiuntive alle 40 già previste, il mancato pagamento dei primi tre giorni di malattia nei casi di assenteismo anomalo, le sanzioni per chi non rispetta i patti.
In breve, tutte quelle deroghe studiate ad hoc per Pomigliano (a cominciare dall’esercizio del diritto di sciopero), che secondo la Fiom cozzano contro le tutele previste dalle leggi, e forse contro la stessa Costituzione, e che, a dispetto delle tante assicurazioni fornite da Bonanni and co. a Pomigliano, con la mossa di Marchionne potranno tra breve essere estese a tutto il territorio nazionale, con il fine ultimo di vanificare e svilire ogni accordo nazionale.
Se Governo e Confindustria si sono allegramente accodati alla invincibile armata della Fiat, lasciando che questa faccia la parte dell’ariete mentre a loro basterà in seguito raccogliere i benefici senza troppa fatica, non è detto che la messa in mora della Fiom non possa rivelarsi un errore e, a conti fatti, risultare notevolmente costosa.
Da più parti infatti si teme che l’autunno in arrivo potrebbe essere portatore di forti tensioni sociali causate dalla tremolante Performance dell’economia italiana. L’Italia, infatti, secondo recentissime fonti Ocse, si segnala come l’unico tra i paesi del G7 a dover registrare, nel terzo trimestre di quest’anno, un calo del prodotto interno lordo dello 0,3% su base trimestrale annualizzata, in controtendenza con la crescita media G7 su base annua dell’1%.
Da qui l’accentuazione del problema occupazionale: i dati Istat dicono infatti che a partire dal mese di Luglio il tasso di disoccupazione (Istat) risulta salito all’8,4% mentre la disoccupazione del settore giovanile è salita dell’1% su base mensile, arrivando al 26,8%, cosa che comporterà notevoli conseguenze sul piano dei consumi interni.
Se, quindi, al calo della produzione sommiamo l’aumento esponenziale della disoccupazione (vedasi il caso dei precari della scuola) ed un ulteriore crollo dei consumi delle famiglie, aggiungendo a questi due fattori anche le tensioni sociali che potrebbero sorgere a seguito di una reazione dura da parte operaia (la Fiom ha intenzione di dare inizio ad una battaglia legale ed ha già proclamato quattro ore di sciopero in vista della sua manifestazione nazionale del 16 Ottobre prossimo), il risultato finale è un mix potenzialmente esplosivo che potrebbe riscaldare i prossimi mesi e che potrebbe, (come noi ci auguriamo) mettere in forse i piani della Fiat .
E se avesse ragione Romiti?