All’interno della strategia Fiat, la fase post-Pomigliano era partita con la lettera che l’AD Marchionne aveva indirizzato ai suoi dipendenti lo scorso 9 Luglio, quasi 3 settimane dopo la batosta del referendum tra gli operai del sito industriale campano. Uno smacco che aveva lasciato i più fervidi sostenitori del nuovo corso Fiat e della Fabbrica Italia, il ministro Sacconi ed i leaders della Cisl e della Uil, con la bocca aperta ed un filo di bava pendente dall’angolo della bocca medesima.
Come era scontato però, dopo la prima botta i cervelloni della Fiat si erano prontamente messi al lavoro per raggiungere un obbiettivo cruciale: mantenere l’impegno preso con il Governo e con i “Sindacati che ci stanno” partendo ad ogni costo con l’operazione Nuova Panda a Pomigliano, nonché, al tempo stesso, regolare definitivamente i conti con la Fiom e con i sindacati di base, ovvero con quelli che invece non ci stanno.
Ecco quindi la lettera indirizzata da Marchionne a tutti i dipendenti di buona volontà. «Ci troviamo in una situazione molto delicata, in cui dobbiamo decidere il nostro futuro. Si tratta di un futuro che riguarda noi tutti, come lavoratori e come persone, e che riguarda il nostro Paese, per il ruolo che vuole occupare a livello internazionale» …«Non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti, non stiamo violando alcuna legge o tantomeno, come ho sentito dire, addirittura la Costituzione Italiana» e ancora «L’altra cosa che mi ha lasciato incredulo è la presunta contrapposizione tra azienda e lavoratori, tra padroni e operai, di cui ho sentito parlare spesso in questi mesi. Quando, come adesso, si tratta di costruire insieme il futuro che vogliamo, non può esistere nessuna logica di contrapposizione interna».
Tralasciando gli ovvi commenti su quanto precede, a parere di chi scrive l’AD Fiat gioca in realtà una partita in proprio, dettata principalmente da una questione di prestigio personale, partita alla quale si sono lestamente accodati sia il Governo che le centrali sindacali a lui amiche, tutti uniti nell’intento di fare la pelle alla Cgil una volta per tutte e di giungere ad un totale ribaltamento (leggasi normalizzazione alla sovietica) delle relazioni sindacali in Italia.
Il dopo Pomigliano, accompagnato da pesanti dichiarazioni di Marchionne circa l’inaffidabilità dei sindacati contrari ai suoi voleri, ha quindi visto un improvviso crescendo della tensione nelle fabbriche simbolo.
Mentre la Fiat imponeva anche a Melfi un aumento dei ritmi di produzione, ottenendo in cambio una raffica di scioperi, una serie di colpi sono stati volutamente inferti sia ai metalmeccanici della Cgil, licenziando un lavoratore a Mirafiori e altri tre a Melfi, che allo Slai Cobas, un cui delegato di Termoli si è visto cacciare dalla azienda. Tutte azioni volte a saggiare la resistenza dell’avversario ed a minarne l’immagine nei confronti dell’opinione pubblica.
A distanza di 10 giorni dalla famosa lettera ai dipendenti, ecco poi l’annuncio bomba che rischia ora di guastare i rapporti della Fiat con il Governo Berlusconi e non solo con questo. Perché, come si diceva più sopra, al di là dei desiderata Governativi, Marchionne gioca una partita in proprio ed ha deciso di rimescolare le carte, rischiando anche di dare il colpo di grazia alla cosiddetta “Fabbrica Italia”.
Ecco il perché quindi dell’annuncio secondo il quale la Fiat, spostando in Serbia i fondi per 350 milioni di Euro destinati inizialmente a Mirafiori, andrà a produrre a Kragujevac la monovolume denominata L-O, destinata a sostituire la Multipla, la Idea e la Musa, attualmente prodotte a Mirafiori. A Mirafiori, rimasta a bocca asciutta senza la L-O, sarà invece destinato «qualcos’altro, ci stiamo pensando», forse la nuova Alfa Romeo Giulia, ma la cosa non è sicura.
D’altra parte, considerato che su un investimento pari ad un miliardo di euro, Bei e Governo Serbo contribuiranno per quasi 700 milioni, ai quali si vanno ad aggiungere sia una esenzione fiscale valida per dieci anni, sia un contributo diretto della Serbia di 10.000 euro per ogni nuovo assunto, se poi a questo aggiungiamo che lo stipendio medio di un operaio della Fiat Auto Serbja sarà di circa 400 euro, perché un imprenditore come Marchionne – oramai quasi più presente negli Usa che in Italia – dovrebbe impegolarsi in un paese come l’Italia, dove a contrastarlo trova ancora, e nonostante tutto, un pugno di lavoratori caparbi ?
Un imprenditore che, dopo avere per anni strappato stipendi miserrimi ai lavoratori Polacchi di Tychy utilizzando ultimamente anche la carota rappresentata dalla Nuova Panda, li lascia poi in braghe di tela perché ha deciso di spostarne la produzione a Pomigliano, nel Belpaese, dove potrà spuntare ritmi e condizioni di lavoro pari ai colleghi Polacchi grazie alla mediazione dei sindacati filo-governativi in loco?
Quello che il Ministro Sacconi ed i suoi supporters sindacali, rimasti ancora una volta a bocca aperta e con il consueto filo di bava pendente dall’angolo della stessa, non avevano compreso a fondo è che stavano giocando con un personaggio abituato oramai a viaggiare con i propri mezzi, che non ha più bisogno di andare a chiedere finanziamenti a Roma perché ora ne può chiedere di ben più sostanziosi all’estero, basta guardarsi intorno e scegliere il Paese adatto.
Circa l’impotenza del governo italiano di fronte alle decisioni della Fiat é sufficiente rileggere la risposta lapidaria giunta dalla Presidenza del Consiglio «In una libera economia e in un libero Stato, un gruppo industriale è libero di collocare dove è più conveniente la propria produzione. Mi auguro soltanto che questo non accada a scapito dell’Italia e degli addetti italiani a cui la Fiat offre il lavoro». Come dire “Fate voi ma non createmi troppi problemi, ché ne ho già a sufficienza”. Da rilevare poi che non si capisce se costui parli come Premier o come Ministro dello Sviluppo Economico ad interim, ma tant’è …
E’ quindi ormai passato il tempo degli annunci baldanzosi di Cisl e Uil su Pomigliano descritto come un “accordo storico”, un accordo per il quale avevano sacrificato diritti e salari di alcune migliaia di lavoratori senza peraltro (forse) considerare che quel modello sarebbe stato poi ripreso prontamente altrove, così come risultano miserandi i proclami della Lega contro la Fiat ladrona e quelli delle autorità Torinesi che chiedono il rispetto degli impegno verso la città.
Lasciando alle loro miserie tutti i suddetti personaggi, resta ora invece da capire quale sarà la reazione degli operai italiani. Se cioè intenderanno accettare supinamente il piatto avvelenato preparato loro dai “soliti noti” (mangiare questa minestra o saltare dalla finestra) adeguandosi agli standard Polacchi e/o Serbi tanto cari a Marchionne, oppure se è loro proposito resistere, come a Torino dove sono partiti scioperi spontanei in tutta la Fiat, o meglio ancora facendo resistenza comune con i colleghi Polacchi e Serbi.
La partita è serissima e i margini di manovra sono ben pochi. Solo gli operai potranno vincere, se lo vorranno.