Un’immagine emblematica della condizione del lavoratore immigrato in Italia può essere considerata quella dei braccianti africani in fuga da Rosarno i quali, rinchiusi nel Cie di Crotone e minacciati di espulsioni in massa dal Ministro leghista Maroni, vengono invece lasciati uscire senza alcun controllo nei giorni successivi e, regolari o no, portando con sé i pochi beni personali che sono riusciti a salvare, si incamminano a gruppetti verso la stazione ferroviaria, rassegnati a disperdersi altrove alla ricerca di un nuovo lavoro, qualunque sia ed a qualsiasi condizione.
Un fatto apparentemente in palese contraddizione con la linea dura che ha sempre caratterizzato le politiche governative.
In realtà, proprio questa “libera” uscita dal Cie di Crotone sotto gli occhi indifferenti della Polizia, rivela quanto il lavoro degli immigrati sia importante per l’economia del nostro paese. Tanto importante che, per una volta, lo Stato può, o meglio deve, chiudere ipocritamente gli occhi mentre in apparenza rinnega le proprie politiche razziste.
E lo fa fingendo un atteggiamento di tolleranza verso chi, fino a ieri, ha lasciato impunemente sfruttare senza che un solo dito si alzasse a fermare lo scempio.
Se infatti andiamo a vedere qualche statistica ufficiale, nel 2007 il lavoro degli immigrati ha inciso sul PIL italiano per il 9,7%, pari ad un importo di circa 134 miliardi di euro; ha poi contribuito ai versamenti a favore dell’INPS per 7 miliardi di euro ed ha fornito un gettito fiscale di 3,2 miliardi di euro, a fronte di un prelievo per spese sociali del 2,5% sul totale delle spese per questo settore, ovvero per circa la metà di quanto ammonta il gettito che deriva dal lavoro immigrato.
Ma le statistiche per l’anno 2007 rivelano anche quale sia stato un altro contributo degli immigrati all’economia italiana: secondo i dati dell’INAIL, infatti, si è verificato nel 2007 un aumento dell’8,7% degli infortuni sul lavoro con ben 174 casi mortali.
Sin qui le statistiche, ma sarebbe del tutto fuorviante affidarci alle cifre ufficiali, perché la realtà di tutti i giorni, quella che ognuno di noi può osservare uscendo di casa alla mattina, è ben diversa.
Le politiche di repressione del fenomeno migratorio, già messe in atto dai governi di Centro-Sinistra, sono poi state portate a termine dal governo Berlusconi e sono culminate con il Pacchetto Sicurezza (Legge 733 del 2 Luglio 2009) mediante il quale, criminalizzando una grossa parte dei lavoratori immigrati, colpevoli del nuovo reato di “Immigrazione Clandestina”, é stata creata una divisione netta nel Mercato del Lavoro:
1) – Da una parte i lavoratori italiani, già da tempo messi con le spalle al muro da una crisi economica che, ci ripetono, “è oramai alle nostre spalle”. Va da sé che i fatti sono sotto gli occhi di tutti coloro che non si nutrono di preconcetti ideologici e, in questo primo scorcio del 2010, già si capisce che le premesse per l’anno in corso non sembrano così soddisfacenti come il governo vorrebbe farci credere, anzi, sono molto peggiori..
Infatti, secondo i dati forniti dall’INPS il 2 Aprile scorso, la Cassa integrazione relativa a Marzo 2010 è salita del 29% rispetto al mese di Febbraio ed è cresciuta del 106% rispetto allo stesso mese del 2009, mentre, a sua volta, la cassa integrazione straordinaria è salita in un anno addirittura del 333%. Insomma, uno sfacelo totale che – come già accaduto in altri paesi europei – nonostante le rassicurazioni del Governo che promette interventi decisivi per il mantenimento dei livelli occupazionali, vede invece sempre più spesso la chiusura definitiva delle aziende e la successiva delocalizzazione della produzione in paesi più lontani ma molto più profittevoli.
2) – Dall’altra parte, l’universo del lavoro immigrato, quasi sempre impiegato in mansioni di basso livello: per l’anno 2007 infatti, fatto 100 il totale, il 7,7% dei lavoratori immigrati era impiegato nel settore della pesca ed agricoltura, il 33,6% nell’industria, il 54,5% nei servizi ed il 4,2% in settori non meglio definiti. Anche qui i numeri, nella loro semplicità, dicono ben poco a chi è direttamente a contatto con la realtà lavorativa dell’immigrazione.
Fatti salvi infatti coloro che sono riusciti a mettersi in proprio, in particolare nel settore del piccolo Commercio, sfugge invece completamente alle statistiche il Lavoro Nero, il mondo sommerso nel quale il Pacchetto Sicurezza ha confinato gli immigrati irregolari dopo avere creato le condizioni ideali per sfruttarli e ricattarli a man salva, schiacciati sotto la minaccia della denuncia alle Forze dell’Ordine e della reclusione all’interno di un CIE in attesa dell’espulsione.
Lavoro nero che, nell’edilizia, con la nascita di un neo-Caporalato, nel Nord industriale ha alimentato i cantieri della Fiera di Milano così come domani alimenterà quelli dell’Expo 2015; mentre al Sud è stato utilizzato a piene mani nella ricostruzione in Abruzzo.
Lavoro nero che, soprattutto nell’Agricoltura del Sud, ha fatto reinventare forme di sfruttamento della mano d’opera che si credevano da tempo scomparse e che invece sono rinate a nuova vita e con una ferocia che non ha limiti.
Inoltre, sparsa per tutta la Penisola, la miriade di “Cooperative” operanti nel settore del facchinaggio e delle pulizie al servizio di imprese dai nomi importanti che, dietro una facciata presentabile, nascondono invece un sordido brulicare di appalti al ribasso. “Cooperative” che oggi nascono e domani muoiono per meglio fregare gli immigrati che si ritroveranno, se va bene, senza straordinari, anzianità e ferie pagati; se invece va male, resteranno senza lavoro e con il rischio di finire nel vortice della temuta “Clandestinità”.
E tutto questo alla luce del sole, sotto lo sguardo delle Autorità preposte che, evidentemente, preferiscono non vedere quanto accade sotto i loro occhi, ma che, quando i lavoratori immigrati si ribellano e si organizzano sindacalmente, si comportano ben diversamente. Ad esempio nei recenti atti di repressione contro i lavoratori delle cooperative in Lombardia, all’interno delle quali in questi ultimi due anni si sono sviluppate lotte particolarmente significative, a dimostrazione di come la ribellione possa assai facilmente travalicare il colore della pelle.
In sostanza, quindi, due mondi paralleli che vengono artificiosamente tenuti separati l’uno dall’altro grazie alla feroce campagna di propaganda razzista sparsa a piene mani in questi ultimi 15/20 anni, due realtà speculari che, pur vivendo la medesima condizione di sfruttamento, nella maggioranza dei casi non si parlano, si ignorano, quando addirittura non entrano in conflitto, dando luogo ad episodi di puro razzismo nei quali gli italiani svolgono il ruolo di “penultimi”, pronti ad opprimere gli “ultimi”, gli immigrati.
Occorre oggi inoltre sottolineare che il mondo del lavoro porta sulle sue spalle il peso di una grave assenza: la coscienza di classe.
Anni ed anni di pratiche sindacali concertative e di totale ed entusiastica adesione alle peggiori teorie neoliberiste da parte anche della cosiddetta Sinistra di Governo, unitamente ai mutamenti epocali che hanno sconvolto sin dalle fondamenta la struttura produttiva anche nel nostro Paese, sono riuscite nell’impresa di spazzare via un patrimonio di ideali e di lotte che neppure il Fascismo era riuscito a cancellare.
Non è rimasto che poco o nulla di quel sentirsi parte comune e indivisibile, forza sociale e solidale, creatrice ed aggregante. Una forza che consentiva ad ogni lavoratore di sentirsi uguale l’uno all’altro e di partecipare, ognuno con i propri mezzi, alle lotte del compagno; poiché la causa di emancipazione era forte, era sentita, era credibile, era auspicata.
L’azione combinata di destrutturazione del sistema di diritti dei lavoratori e di cancellazione della memoria stessa della classe lavoratrice portata a termine dal Centro Sinistra, ha fatto sì che il mondo del lavoro si trovi oggi completamente indifeso di fronte all’attacco su due livelli che il Governo sta portando avanti incessantemente.
Se infatti, da un lato, la Destra continua imperterrita nell’opera di distruzione dei residui diritti dei lavoratori mentre, al tempo stesso, assiste impassibile alla scomparsa di migliaia di posti di lavoro, dall’altro, sul versante ideologico, ammicca ai lavoratori autoctoni, agitando il pericolo costituito dalla Immigrazione. Ed è proprio l’estrema debolezza che affligge il mondo del lavoro a renderlo oggi permeabile alla vulgata razzista che sottende l’attuale azione di governo.
Ecco quindi che, di fronte al serio pericolo di una involuzione della classe lavoratrice verso posizioni di piena adesione al disegno neocorporativo proposto dalla Destra al Governo e, in special modo al Nord, dalla Lega, il tema del lavoro e quello del razzismo risultano strategicamente intrecciati.
Solo con lo spezzare questo intreccio, sconfiggendo il crescere dell’intolleranza tra i lavoratori italiani, riconoscendo che non esiste differenza alcuna tra lo sfruttamento imposto ai lavoratori italiani e quello cui sono soggetti i lavoratori immigrati, riunificando la loro resistenza contro il comune avversario, si può battere il disegno delle classi dominanti.Occorre perciò lavorare proprio sul tema lavoro/razzismo, svelando l’inganno con cui si vuole creare una divisione artificiosa tra lavoratori di nazionalità e culture differenti. Combattere questa battaglia significa far riemergere una coscienza di classe e ricreare quella solidarietà dispersa ma ora più che mai necessaria per modificare le carte in tavola.
Cominciare a dire NO al razzismo dilagante è un cominciare a dire NO a questo attacco frontale a TUTTO il mondo del lavoro.
La redazione di Bel Lavoro