Una questione di percentuali.
Integrazione alunni stranieri?
Gelmini: “Tetto del 30% per gli alunni stranieri nelle classi, si parte dal 2010-2011 dalle classi prime di elementari, medie e superiori. Aperti alla integrazione, ma salvaguardia anche dei simboli e dell’identità della scuola italiana” Roma, 8 gennaio 2010.
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha inviato a tutte le scuole una nota contenente “indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana”.
Un’iniziativa propagandistica? Una misura per accontentare i razzisti che sostengono il governo? Un insieme di indicazioni contraddittorie applicabili con aleatorietà e secondo convenienza? Crediamo che la risposta sia già nel titolo del comunicato stampa in cui si legge: “Aperti alla integrazione ma anche salvaguardia dei simboli e dell’identità della scuola italiana”. Ma quali sono i simboli della scuola italiana? Forse il crocefisso, la fotografia del presidente della repubblica oppure la bandiera nazionale cui rendere omaggio, ogni mattina, cantando l’inno?
Quale la sua identità?
Difficile rispondere di fronte ad una scuola martoriata dai continui tagli nelle risorse e da poco sottoposta ad un riordino dei cicli che, presentato come una riforma “epocale”, risponde semplicemente ad un ulteriore richiesta di risparmio nella gestione amministrativa con un evidente impoverimento dell’offerta formativa.
Il fatto più odioso è che dietro a quel “aperti all’integrazione” si annida una nuova misura discriminatoria sia per i giovani studenti che provengono da altri paesi, sia per le loro famiglie.
Non basta essere ricattati dalle norme che condizionano il permesso di soggiorno, minacciati dalla possibilità di finire in un CIE, sfruttati sui luoghi di lavoro o semplicemente guardati con sospetto perché con la pelle di un altro colore, ora, se si oltrepassa la soglia del 30%, si viene trasferiti in un altro istituto.
Il provvedimento prevede, infatti, che: “Il numero degli alunni stranieri, presenti in ciascuna classe, non potrà superare di norma il 30% del totale degli iscritti, quale esito di una equilibrata distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra istituti dello stesso territorio. Il “tetto” entrerà in vigore dall’anno scolastico 2010-2011 a partire dalle classi prime sia della scuola primaria, sia della scuola secondaria di I e II grado”.
Ma cosa s’intende per territorio? Ci si riferisce all’ambito comunale, a quello dei distretti scolastici o si considera anche il quartiere della grande città?
Il ministero dell’istruzione affronta un problema didattico scaricando la soluzione sull’anello debole della catena. Quale logica guida queste decisioni? Non è didattica ma razzista, infatti, non avrete mai sentito nessuno proporre il trasferimento d’ufficio di studenti (cittadini italiani) con risultati d’apprendimento scarsi, qualora questi superassero la soglia del 30%, da una scuola all’altra per garantirne un’equa distribuzione.
Doveroso aprire una parentesi per ricordare che, prima di queste nuove norme, c’è già stato chi ha subito delle “piccole deportazioni”, ci riferiamo a quei bambini Rom che, in seguito agli sgomberi dei campi in cui vivevano, sono stati allontanati dalle scuole in cui con fatica si erano inseriti.
Le contraddizioni non sono finite, qualche riga più avanti si precisa che il limite del 30% potrà essere innalzato o ridotto a seconda della padronanza della lingua italiana dimostrata all’atto dell’iscrizione.
Ma fateci capire, chi valuta, con quali prove, secondo quali criteri? Ovviamente non hanno ritenuto di entrare nello specifico per lasciare spazio a quella aleatorietà indispensabile per mettere in condizioni di disagio e discriminazione chi si appresta all’iscrizione dei propri figli (cittadini stranieri) alle prime classi dei vari ordini scolastici.
Per rendere ancora più incerto il percorso dei singoli si sottolinea che: “L’assegnazione degli alunni non italiani nelle classi è autonomamente decisa dalle scuole che dovranno, comunque, procedere ad un accertamento delle competenze e dei livelli di preparazione dell’alunno per assegnarlo, di conseguenza, alla classe definitiva che potrà essere inferiore alla classe corrispondente all’età anagrafica”.
Ci auguriamo che l’accertamento delle conoscenze non avvenga esclusivamente in base alla conoscenza della lingua perché allora ci sarebbe da ridere… un tredicenne inserito in prima media invece che in terza perché non riesce a parlare bene in italiano e non conosce la “storia padana”, pazienza se è un genio della matematica e conosce altre due lingue…
Ovviamente, non viene neppure considerata l’ipotesi che una studentessa straniera possa essere inserita, accertato il suo ottimo livello di preparazione complessivo, in una classe superiore a quella corrispondente all’età anagrafica.
Siamo, cioè, certi che il percorso formativo, fino a quel momento seguito, sia di livello inferiore a quello italiano, così come le capacità individuali sicuramente inferiori a quelle della compagna, anagraficamente parlando, cittadina italiana. Interessante anche leggere che, secondo la Gelmini: “Gli alunni non italiani hanno bisogno di stare con quelli italiani per potersi integrare al meglio”. Peccato che nelle note a margine lo stesso ministro sostenga che: “Oltre al tetto è fondamentale prevedere classi di inserimento di durata limitata per poter insegnare la nostra lingua a chi è appena arrivato in Italia ad un livello sufficiente per non sentirsi in difficoltà con i coetanei”.
Classi d’inserimento in cui si concentrerebbero allievi provenienti dalle più disparate parti del mondo, separandoli per un periodo “limitato” (quanto lungo il ministro non lo dice?) dai compagni della classe cui sarebbero stati assegnati.
Ma come, per facilitare l’inserimento li sistemano per un po’ in un’altra classe, diversa da quella in cui dovrebbero, appunto, inserirsi… Un capolavoro di contraddizioni associate ad una mal celata presa per i fondelli.
Questo passaggio sembra, nella sua filosofia di fondo, richiamarsi alle classi differenziate del passato dove i bambini con problemi d’apprendimento venivano ghettizzati perché non conformi ai ritmi e modalità d’apprendimento previsti per tutti gli altri.
Nella scuola dell’efficientismo aziendalista i responsabili del rallentamento nello svolgimento dei programmi sono stati quindi individuati; sono gli studenti stranieri, sulle cui spalle viene caricato un altro fardello.
Il ministro promette sostegno economico, ma risulta poco credibile l’ipotesi di stanziamento di fondi per interventi di sostegno alle scuole dei territori con alta presenza di cittadini stranieri, quando le finanze già previste in precedenza, con lo stesso fine, sono diminuite vertiginosamente.
Per concludere, se l’obiettivo di questo provvedimento fosse veramente quello di favorire l’integrazione dei nuovi ospiti delle scuole italiane, basterebbe usare un minimo di razionalità per decidere di organizzare dei corsi di lingua italiana in orario pomeridiano frequentati da piccoli gruppi omogenei per madrelingua e livello di conoscenza dell’italiano.
Troppo semplice, poco funzionale ai giochi di potere della casta che pretende di decidere le nostre sorti? È necessario denunciare e resistere ad ogni discriminazione, ad ogni deriva razzista, in ogni occasione ed in ogni luogo in cui queste si manifestino.
Marco, per il Coordinamento antirazzista della FAI