Stavo curiosando su Internet alla ricerca di informazione sulla neo legge ronchi, quando, tra i vari risultati della ricerca mi sono imbattuto nella pubblicità del libro "Geopolitica dell’Acqua". Nella recensione ci sta una domanda che credo sia il sunto e la base di partenza per qualsiasi ragionamento si possa fare sull’acqua: è un bene comune o un bene economico?
La risposta è, ovviamente, semplice: l’acqua è un bene comune e in quanto tale deve rimanere in totale controllo dei cittadini.
Sin dall’inizio si è cercato di portare questa risorsa primaria nelle mani dei privati con un lungo percorso cominciato con la legge 36 del 5 gennaio 1994, altrimenti nota come "legge Galli", e terminato in questi giorni con la conversione del decreto legge 135 del 25 settembre 2009, decreto Ronchi. Sostanzialmente questa nuova legge stabilisce che le quote delle aziende o enti a partecipazione pubblica all’interno della società di gestione del servizio idrico, dovranno essere ridotte al 40% entro il 30 giugno 2013 e al 30% entro il 31 dicembre 2015. La differenza sta nel fatto che con le leggi precedenti la determinazione della percentuale di partecipazione delle aziende private veniva lasciata alle singole regioni.
Per esempio, la Toscana, caso che conosco meglio, ha stabilito che la presenza azionaria privata non può superare il 49%. Non che questo cambi poi di molto le cose: avere il 51% del capitale suddiviso per 40 comuni (in questo esempio quelli che compongono l’ATO1) significa, di fatto, cedere nelle mani del privato la maggioranza della società.
Con il decreto Ronchi, invece, questa compartecipazione privata viene stabilita a livello nazionale e si arriva addirittura al 70%.
Il tutto giustificato dalla solita noiosa tiritera che il privato è in grado di garantire un servizio e una qualità migliori. Niente di più falso. Parigi, prima città europea a intraprendere la strada della privatizzazione del servizio idrico, iniziata nel 1984 all’epoca di Chirac, dal primo gennaio del 2010 tornerà a bere l’acqua del sindaco. La fallimentare gestione di questi 25 anni di gestione privata la dice lunga sulla "bontà" dei privati, una sconfitta evidente e bruciante maturata in casa di Veolia Eau e Suez, le due più grosse multinazionali dell’acqua.
Gli analisti stimano che il ritorno al pubblico dell’acqua parigina porterà un risparmio di ben 30 milioni di euro che potranno essere investiti nella rete idrica e nel controllo delle tariffe.
E in Italia non è che vada meglio. Laddove l’ingresso dei privati è una realtà già tangibile, nessun miglioramento ha giustificato gli aumenti spropositati. Ad Arezzo, per esempio, dove Intesa Aretina, società del gruppo Acea, partecipa per il 46,16% in Nuove Acque, già oggi si hanno bollette che sono tra le più alte in Italia. E il suo presidente afferma che attualmente sarebbe necessario raddoppiare le tariffe per far fronte ai costi. Questo sul fronte dei privati. Ma il pubblico come sta? Non certo meglio. Come già esposto precedentemente (vedi UN 22 del 7/06/09) anche senza privati, le aziende ancora a totale partecipazione pubblica hanno una linea aziendale che non si discosta dalle logiche di sfruttamento commerciale. Gaia, società di gestione del servizio idrico ATO1 Toscana, pur avendo "ritoccato" le tariffe sino ad arrivare a circa il 70% di aumento, ha già dichiarato che per il prossimo anno gli utenti dovranno aspettarsi un altro aumento che si aggirerà attorno al 25%.
Si può ragionare quanto vogliamo su pubblico o privato, possono nascere comitati sia locali sia nazionali, ma fino a quanto tutto rimarrà chiuso in una logica di controllo statalista, istituzionale, affidando la gestione a società nelle quali possono mettere le mani avidi amministratori, nulla cambierà.
L’unica alternativa possibile è lavorare per creare un movimento che abbia come obiettivo l’autogestione locale della risorsa idrica, fondandosi su correlazioni mutualistiche. Fuori da sistemi commerciali che siano pubblici istituzionali o privati, che gestisca realmente l’acqua come quel bene comune che è.
E intanto chi ci guadagna? Per il momento solo i colossi dell’acqua, visto che la notizia dell’approvazione del decreto Ronchi ha fatto balzare le borse portando nelle già pingui tasche delle aziende una buona dose di "liquido".